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Roma. «Nessuno» al Teatro Tirso. Nell'assurdità di un mondo ammalato, il riaffiorare dell'amore è un doveroso miracolo che rischiara

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Massimiliano Bruno, regista di «Nessuno» al Teatro Tirso di Roma fino al prossimo 19 maggio. Nel dicembre 2003 la guerra non è solamente un'eco lontana: scenario è Roma, permea la nostra pelle e le nostre coscienze. Rifugiatisi in una chiesa della capitale - il doloroso parallelo con la Natività di Betlemme è d'obbligo - alcuni ragazzi sono costretti a convivere, diversi nel loro microcosmo di esperienze personali. Fuori, le macerie sedimentano cadaveri e sporcizia, puzza e pallottole, dentro la navata riaffiorano i ricordi dell'infanzia, i piccoli rituali quotidiani che, alla luce dell'orrore spettrale che avvolge l'intera città, acquistano una nuova dimensione interiore, un interrogarsi e riassaporare in maniera genuina il legame con le proprie radici affettive. Libero, Ludovica, Sole, Federico e gli altri ragazzi sono le tante sfaccettature del sentire sociale, il loro dialogare è in realtà un flusso interiore alla Virginia Woolf che strizza l'occhio allo spettatore, lo coinvolge col linguaggio asciutto e crudo del disagio giovanile, col turpiloquio che nasconde tanta voglia di dolcezza. "La vita è un fiore piantato nella merda" è la frase di uno dei protagonisti che, nella sua immediatezza, racchiude l'anelito di una missione individuale, l'adempimento con dignità della costruzione di un nuovo ordine etico, desideroso di spazzare via per sempre l'ipocrisia che sottende alla società perbenista, quella che dichiara che da oltre cinquant'anni c'è la pace: «In realtà la guerra non è mai finita, dal Vietnam al Kossovo alla Colombia, alla Somalia» urla la coscienza del gruppo, Nessuno, il personaggio che dà il titolo alla piece. "L'emozione di un bambino che stringi forte a te" sussurra Libero e getta un ponte di speranza nella confusione che regna dovunque sovrana. Disprezzo di una vita troppo normale che soffoca l'istintività e la creatività dell'individuo, valori piccolo-borghesi che si traducono in un vuoto interiore, il maniacale attaccamento ai falsi miti consolatori quali la discoteca, il telefonino ed il campionato di calcio: a tutto ciò il talentuoso autore e regista Massimiliano Bruno contrappone la struggente valenza di una partita a tressette col nonno, la passeggiata nel viale e la gita agrituristica. Nell'assurdità di un mondo ammalato, il riaffiorare dell'amore è un doveroso miracolo che rischiara le vite dei protagonisti, dà loro speranza e crea una sofferta solidarietà di gruppo, col finale aperto a qualsiasi prospettiva.
Regia attenta, scenografia sobria che ben rende il vuoto spirituale della contraddittoria società in cui viviamo. Le scene si susseguono con ritmo e gli attori sono convincenti nel loro smarrimento pietrificato. Un cammeo: la scena dell'onorevole Adolf Stalinbush, di esilarante ed ambigua comicità. Al Teatro Tirso di Roma fino al 19 maggio.

Claudio Ruggiero

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