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Roma. Soli, insieme. Moni Ovadia: «Nel nostro Novecento letterario la vocazione solitaria dell'arte è stata insegnamento di rigore, di pazienza»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Moni Ovadia, attore e scrittore. Il paradosso della solitudine dello scrittore, poeta e narratore, che si isola per potersi congiungere a tutti, che si nega alla vita per poterla dire, è forse il mito principale della letteratura. Non c'è una semplice e unica parola che spieghi il segreto del poeta tranne forse la parola "solitudine" - la nuda solitudine della letteratura. Che vi giungano inavvertitamente o lavorando spietatamente sulla lingua, gli scrittori considerano la solitudine come la condizione essenziale da raggiungere, l'unica che, avvicinandoli al limite del dicibile, sembra condurli, fuori dalla barbarie, nei territori della libertà e della conoscenza, là dove si incontra l'altro, dove la solitudine può essere condivisa. Nel Novecento, la vocazione solitaria dell'arte è stata un insegnamento di rigore e di pazienza. Come una lezione per non sciupare la vita, per preservarla, per non renderla un facile gioco di consumo e di superficialità. La solitudine della letteratura è stata la certezza che ogni parola, qualsiasi storia da raccontare, non fosse nient'altro che un "io" alla ricerca di un ascolto - il nostro vero essere "insieme agli altri" solo nel momento in cui parliamo a noi stessi.
Moni Ovadia è nato a Plovdiv, in Bulgaria, nel 1946, da una famiglia ebraica. Studia a Milano dove si laurea in Scienze Politiche e incomincia la sua attività come cantante e musicista. Il lavoro teatrale inizia nel 1984 quando avvia varie collaborazioni con numerose personalità teatrali, quali Pier'Alli, Tadeusz Kantor, Giorgio Marini, Franco Parenti. Nel 1995 mette in scena Dybbuk, spettacolo sulla Shoa che viene accolto come uno degli eventi più importanti della stagione teatrale. Dal 1994 collabora con Roberto Andò, con cui inventa numerosi spettacoli. Nel cinema lavora in «Caro Diario» di Nanni Moretti e come coprotagonista in «Facciamo Paradiso» di Mario Monicelli. Nel 1996 pubblica per Bompiani il libro «Perché no?» cui seguono «Speriamo che tenga» (Mondadori, 1998) e «L'Ebreo che ride» (Einaudi)

Claudio Ruggiero

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