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Latina. Previdenza e "patto sociale": il dibattito. I Radicali pontini: «Il nostro
sistema pensionistico è il più costoso e iniquo del mondo»
«La firma del "Patto per l'Italia" è stata per il Governo Berlusconi una operazione di indubbio spessore politico. Memore della spallata decisiva che le piazze sindacali avevano dato al suo precedente Governo nel 1994 e preoccupato che potesse essere ancora l'opposizione sociale, ben più che quella politico-parlamentare, ad impensierirlo, il Presidente del Consiglio ha scelto la strategia della divisione del fronte avverso. Vi è riuscito, isolando all'opposizione antagonista la CGIL di Sergio Cofferati e assicurandosi il consenso o almeno la non belligeranza dei sindacati "centristi", CISL e UIL». Parlano così i radicali pontini in merito al dibattito sulla previdenza e sul "patto sociale".
Com'era facile prevedere, però, non diciamo l'idillio, ma la semplice tregua non è durata neppure lo spazio delle ferie estive.
Incassato il declassamento della riforma dell'art 18, CISL e UIL, ben lungi dal deporre le armi, sono partite lancia in resta contro qualsiasi ipotesi di riforma previdenziale, compresa quella - insufficiente ma utile - già contenuta nella delega depositata in Parlamento. Con maggior decisione che non quelli della CGIL, esponenti di Cisl e UIL si sono affrettati a opporre un risoluto e preventivo "niet" a qualsiasi ipotesi di riforma, in primo luogo sulle pensioni di anzianità, l'emblema tanto di un sistema insostenibile e iniquo sotto il profilo intergenerazionale, quanto della incapacità politica di affrontare il nodo delle pensioni.
Gli esorcismi lessicali si sono rivelati insufficienti: non è bastato derubricare la Concertazione al rango di Dialogo sociale, secondo un'eufemistica definizione di stampo comunitario, per scacciare lo spettro di un sindacato così potente da imporre ai Governi le proprie scelte o le proprie inerzie nella politica economica e fiscale. I risultati confortanti sul fronte dell'inflazione e dei conti pubblici raggiunti negli anni 90 che molti ascrivono a merito della concertazione - avremmo qualche dubbio che quella sia stata la ragione principale o che non vi fossero altre vie per raggiungere quegli obiettivi, ma non vi sarà mai la prova contraria - hanno avuto come contraltare la crescita esponenziale dell'influenza e del potere tutto politico del sindacato. In cambio della moderazione salariale, ci siamo dovuti tenere il mercato del lavoro più rigido d'Europa - nonostante alcuni opportuni aggiustamenti compiuti nella scorsa legislatura - e il sistema previdenziale più costoso e iniquo del mondo.
Paradossalmente, il potere del sindacato "amico" su questo Governo rischia di diventare ancor più incisivo e quindi più paralizzante di quanto accaduto nei due lustri precedenti. Incalzati sui luoghi di lavoro e nelle piazze dalla CGIL, CISL e UIL, non solo non abbasseranno la guardia un minuto, ma cercheranno in ogno modo di alzare continuamente la posta. Negli anni scorsi i Governi di centro sinistra hanno adottato sul fronte previdenziale la politica dello struzzo, fingendo di non vedere l'inadeguatezza dei passi compiuti e rinviando sine die una riforma strutturale che avesse qualche chance di essere, se non definitiva, almeno duratura.
Prima che sia troppo tardi, l'attuale Governo deve marcare con forza la sua autonomia dal sindacato rilanciando proprio sulle pensioni. In primo luogo respingendo gli attacchi alla Legge Delega e poi articolando una proposta di riforma complessiva che punti all'eliminazione delle pensioni di anzianità e ad un aumento effettivo dell'età media di pensionamento. Da qui alla fine della legislatura non mancherebbe certo il modo di raccogliere i frutti politici di scelte oggi apparentemente impopolari. I tempi stringono: il prossimo mese di settembre sarà decisivo per la riforma previdenziale in questa legislatura. Persa questa occasione difficilmente se ne presenteranno altre, a meno di crisi drammatiche nella finanza pubblica comunque non auspicabili.
Se invece la morsa della Concertazione dovesse avere il sopravvento ancora una volta, la pace sociale correrà il rischio di trasformarsi in rigor mortis, paralizzando la riforma del welfare, mettendo a rischio l'equilibrio dei conti pubblici e i progetti di rilancio della crescita. E ancora una volta il potere conservatore del sindacato, difensore di forti interessi costituiti, avrebbe il sopravvento sugli interessi diffusi degli italiani, dei più giovani ma non solo».
Mauro Cascio
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