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Gaeta. Fra' Diavolo. Marialba Pezza, una diretta discendente del "brigante"
itrano: «Una figura spesso bistrattata dalla moderna storiografia»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Marialba Pezza, diretta discendente
di Michele, ovvero "Fra' Diavolo".
«Bisogna far luce sulla controversa figura di Michele Pezza, giusto per
considerarlo né un eroe, né tantomeno un volgare brigante, ma solo
un uomo coraggioso e carismatico, che si è battuto per difendere la sua terra contro
un invasore, quello francese, che compiva rappresaglie feroci, innalzandosi,
così, dalla mediocrità di una vita prosaica e diventando un personaggio la cui
fama andò aldilà dei confini del suo paese, proiettandosi in ambito
internazionale. Episodi riguardanti la vita e le imprese di Fra' Diavolo
venivano spesso raccontati da mio padre che li aveva ascoltati da mio nonno
il quale, essendo nato nel lontano 1837, era vissuto in un'epoca non contemporanea,
ma molto vicina a quella del suo prozio. Mio nonno, Vincenzo Pezza, all'età di
70 anni ha avuto, come unico suo figlio, mio padre che è nato nella stessa casa
dove nacque Fra' Diavolo, ubicata nella zona alta di Itri, vicino alla chiesa
di San Michele Arcangelo, sul cui sagrato Michele, come raccontava mio nonno,
giocava da bambino e spesso si arrampicava fin sul campanile per sbalordire i suoi
coetanei, che lo additavano col nome di Fra' Michele, per via del saio da frate che indossava
come ex voto, dopo la guarigione da una grave malattia. Fu proprio in una di quelle
bravate che il suo maestro, il canonico Nicola De Fabritiis, spazientito da quel comportamento
alquanto vivace, esclamò: «Ma quale Fra' Michele, quello è un Fra' Diavolo». Fu, appunto,
così che nacque quell'epiteto che al piccolo Michele piacque così tanto che pensò di appropriarsene
anche in seguito, quando diventò adulto. Purtroppo, la casa dove sono nati Fra' Diavolo, mio nonno e mio padre è stata bombardata nell'ultimo conflitto mondiale.
Per fortuna, ne è rimasta l'immagine di una stampa d'epoca che non la ritrae nella sua
interezza, ma ne riporta una parte, in cui sono raffigurate una bifora e una porta. Oltre alla
casa, sono stati distrutti anche due cimeli importanti, che mio nonno aveva custodito
gelosamente per tanti anni. Il primo era una lettera autografa di Napoleone che scriveva
in Italia al fratello Giuseppe in cui gli intimava di catturare, assolutamente, il
"brigante Fra' Diavolo", vivo o morto; i francesi usavano, infatti, denominare
con il termine "brigante" tutti coloro che ad essi si opponevano. Quella lettera
si trovava nella casa di mio nonno, perché Fra' Diavolo riuscì a prendere sia
il messaggio che il messaggero. L'altro cimelio era un medaglione che raffigurava
da un lato l'immagine a mezzo busto della Regina Carolina e nell'altro lato c'era una dedica
della stessa Regina a Michele Pezza, "colonnello dell'esercito borbonico"; vi era, inoltre,
racchiuso un ricciolo dei suoi capelli. Mio padre parlava spesso e con orgoglio
di questi cimeli di famiglia, ormai spariti e che suo padre, alla fine dell'800, aveva mostrato
allo storico itrano mons. Ernesto Jallonghi, che stava ideando un libro e fu proprio a lui
che mio nonno raccontò queste storie sulla vita del suo antonato e che Jallonghi pubblicò
nel suo testo. Purtroppo quei cimeli non furono né archiviati né, in seguito, fotografati.
A mio padre rimase solo il ricordo della figura di questo suo singolare prozio,
così criticato dalla storiografia ufficiale e di cui poco si parlava nei libri di storia
che gli facevano studiare a scuola. Eppure, gli era rimasto impresso il fascino
di quei racconti di suo padre, così anziano da poter essere suo nonno che,
con fierezza ed entusiasmo, gli descriveva le innumerevoli imprese di quel suo
antenato che, a detta dei parenti che lo avevano conosciuto, era un ragazzo
alquanto ribelle, insofferente a qualsiasi imposizione, tanto da commettere persino
due omicidi in una rissa. Un ragazzo vivace, che in seguito si sarebbe dedicato alla
difesa della sua terra. Quando poi, nel 1798, ottenne, per scontare la sua pena,
di arruolarsi nell'esercito di Ferdinando IV di Borbone si sentì seriamente
investito del ruolo di difensore della sua gente e del suo Re, che per la verità non si
comportò correttamente nei suoi riguardi. Eppure, per quel Re manifestamente ingrato
Fra' Diavolo combattè, mettendo spesso a repentaglio la propria vita; e lo farà
di nuovo nella seconda invasione francese del 1806, fino a morire impiccato, a soli
35 anni, in piazza del Mercato a Napoli, pur di non tradirlo.
Forse però, nel suo animo, al di sopra di Re Ferdinando, ci fu un ideale più grande,
più nobile, più sacro: quello di difendere la sua famiglia e la sua gente; ideale a cui
Michele dedicò tutta la sua vita senza titubanza e con quel coraggio, che è tipico
della giovinezza e che rende possibile superare ogni tipo di ostacolo.
Il suo merito più grande fu, forse, quello di essere rimasto leale e fedele
fino all'ultimo, anche quando si rese conto che ciò gli sarebbe costato la vita.
Infatti. né le offerte di cospicue somme di denaro, né la promessa di cariche onorifiche
lo convinsero a tradire il suo Re, i suoi amici ed il suo onore, anche quando, condannato
a morte, gli era stata data la possibilità di vivere se avesse accettato di passare dalla
parte del nemico. Nei racconti di mio nonno sulla sua precoce morte, risaltava il rammarico
che nessuno di quelli per cui si era battuto avesse fatto nulla per evitare la sua sentenza
di morte. Solo il suo più acerrimo nemico, il comandante delle truppe francesi
Sigismond Hugo, aveva chiesto, invano, che Michele Pezza fosse trattato come prigioniero
di guerra e volle, comunque, andarlo a visitare in prigione, rimanendone favorevolmente colpito. A mio padre che leggeva "I Miserabili", mio nonno ricordava Victor Hugo,
che da bambino aveva seguito suo padre nella caccia a Fra' Diavolo e che era rimasto
impressionato dalle imprese di quell'uomo, che appariva ai suoi occhi di fanciullo un mito,
quasi una leggenda, perché era per lui un personaggio misterioso, di cui sentiva
parlare continuamente in famiglia e tra i numerosi soldati, che ubbidivano agli ordini di suo
padre, nei continui spostamenti, che erano obbligati a copiere perché non
riuscivano a catturare quello strano personaggio, dal nome così curioso, che incuteva
tanta paura ma anche tanto rispetto per la sua astuzia di farsi trovare in più posti
simultaneamente e per la sua abilità a dileguarsi in un baleno. Certamente le festa di
Fra' Diavolo influenzarono la fantasia di un bambino così sui generis quale immaginiamo
fosse il futuro autore dei Miserabili».
«Concludo, ricordando un'analogia che, spesso, mio nonno faceva a proposito degli assedi
di Gaeta del 1799 e del 1806, nei quali Fra Diavolo aveva combattuto e quello del 1861 a cui lui a 55 anni dopo aveva partecipato, facendo notare a mio padre che studiava la storia
del Risorgimento, che gli avvenimenti dell'assedio di Gaeta erano andati diversamente da come
era scritto nei libri di storia: cambiava l'invasore, ma gli eccidi e le distruzioni erano sempre
le stesse, come pure sempre lo stesso era lo scenario: quello della fortezza di Gaeta e del suo
borgo, la cui popolazione ha dovuto subire le violenze e gli orrori, che sempre
accompagnano le invasioni contro cui Fra' Diavolo prima e mio nonno dopo hanno
cercato di opporsi. All'estero personaggi come Fra' Diavolo venivano considerati eroi,
patrioti. Bismark scrisse: "Non c'è un albero della Germania al quale i gendarmi di Napoleone
non abbiano impiccato un patriota tedesco". Anche in Spagna, nel 1808, quelli che si
sono opposti alle armate napoleoniche sono stati definiti patrioti e immortalati da
Francisco Goja nei suoi quadri. Quelli che come Fra' Diavolo che, in Italia, nel
1806, rispondendo all'appello del proprio Re, si opposero all'invasore sono stati definiti
briganti».
Glauco Di Mambro
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