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Formia. La freccia del sud. Pietro Mennea: «Un primato durato più di 16 anni. Un grande successo che fa parte di 20 anni di carriera strepitosa»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Pietro Mennea. Scrutando la sua figura, cosa non semplice per l'atipicità che ne contraddistingue l'uomo/atleta, si ha l'impressione di imbattersi in un personaggio appartenente alla leggenda. Sarà per la ritrosia che ha contraddistinto l'atleta (nonchè l'uomo) nell'apparire in primo piano, tanto differenziandolo dai campioni "attuali", sarà per quella personalità forgiatasi nel "sud", terra diffidente e di silenzi, cosa certa è che un profilo esatto dello sprinter più veloce e più testardo mai avuto in Italia risulta essere operazione delicata e quantomai appassionante. La storia di Pietro Mennea sembra caratterizzata da un comun denominatore: tagliare traguardi e proiettarsi alla successiva sfida, considerare ogni successo, piccolo o grande che sia, un semplice punto di partenza anzichè d'approdo e per questo è facile capire come un campione del suo calibro smessi i panni della celebrità, riposta la tuta e gli scarpini, abbia potuto (e voluto) continuare a dare importanti contributi seppur in scenari differenti dalle piste d'atletica.
Mennea nasce nel 1952 a Barletta, cittadina sull'Adriatico tanto ricca di storia e monumenti quanto avara di opportunità e strutture per i più giovani (ma con una lunga litoranea per allenare futuri campioni). Terzo di cinque figli, papà Salvatore sarto e mamma Vincenza casalinga, frequenta sin da piccolo la palestra della strada, attività ricreativa prediletta dai ragazzini meridionali. Le partite a pallone all'oratorio, le lotte tra amici, le corse improvvisate attorno la Cattedrale sono la normale routine del ragazzino che man mano comincia a mostrare una spiccata attitudine per le sfide. Si pensi alle fughe notturne da casa all'insaputa dei genitori per sfidare e vincere le auto sul corso, sfide oggetto di accesissime scommesse molto spesso finite a botte. Questi gli ingredienti determinanti di una gioventù vissuta all'aperto, ingredienti che forgiano nell'introverso personaggio una personalità tosta, solida, quella che gli permetterà nel corso della vita, non è superfluo ripetere, di andare sempre a capo, di non fermarsi mai, nemmeno quando l'ostacolo sembrerà insormontabile. Per Mennea il momento delle prime scelte, quello in cui l'adolescenza agita con tutti i suoi quesiti e l'irrazionalità difficilmente è domabile, avviene in un periodo particolarmente movimentato, in cui focolai di un '68 irrequieto made in USA serpeggiano in Italia e persino nell'apparente calmo sud, in cui la tensione spaventa una nazione e la propria coscienza a furia di attentati, in cui i ragazzi sognano con i Beatles e Cassius Clay. È in quei momenti che la fortuna di avere una guida, chi decide al posto tuo, può cambiarti la vita. La figura centrale, ripete sovente Pietro Mennea, è stata il Prof. Autorino, avvocato senza toga, professore di educazione fisica e pigmalione di colui che da lì a breve sarebbe diventato per gli sportivi italiani la "freccia del sud", facendo impazzire un'intera nazione, colmando quel gap atletico mai digerito nei confronti dei "mostri" di colore e del superatleta dell'est (il suo idolo Borzov), sfidando atleti strutturalmente più equipaggiati, forse solo in apparenza, per trionfare. Il prezzo da pagare per un giovanotto pieno di sogni è molto alto: è inevitabile che le "fughe" a Roma con gli amici per "catturare" donne, gli atteggiamenti irrequieti per esser fedeli ad un progetto più utopico che concreto, debbano lasciare il posto in quell'epoca ai sacrifici, alle rinuncie. Qua è l'uomo che decide. È da qui che passa la strada per il successo, "solo dal duro lavoro e dalla dedizione si può costruire una carriera importante" avrebbe spiegato più tardi Primo Nebiolo, figura molto cara e vicina nel corso degli anni a Mennea; Pietro Mennea ha le idee chiarissime. Allora l'avventura scolastica e il diploma da ragioniere, le continue sconfitte nella palestra della scuola contro l'imbattibile amico Pallammolla restano alle spalle, il poco credito avuto dai suoi osservatori, perplessi dalla gracilità fisica del ragazzo, diventano punto di partenza per un modello di vita esclusivamente poggiante su allenamenti senza tregua, dove le festività esistono solo sul calendario e le distrazioni non han ragione di essere. La convinzione nei propri mezzi, un trainer severissimo quale Vittori (ma non si deve dimenticare il prof. Mascolo), la voglia di emergere ed il pugno rivolto al cielo di Tommie Smith rappresentano la spinta decisiva per provare a sognare, per fare di un uomo del sonnecchiante sud un campione. Gli allenamenti lunghi e solitari accompagneranno Mennea per tanti anni, interrotti solo dalle competizioni, dai suoi ritiri e dai suoi rientri testardi e silenziosi. Silenziosi come gli atteggiamenti sovente assunti dall'uomo, un uomo ancora oggi da esplorare in alcune sue sfaccettature, quell'uomo che ha sempre rivendicato un suo spazio accanto al campione, quell'uomo di pochi gesti, di complicità sottili condivise con pochissime persone. Quell'uomo che con maggior morbidità nei confronti del sistema sarebbe stato "socialmente" più considerato, quell'uomo spesso in antitesi con l'esterno per troppa fedeltà a se stesso, poco simpatico ad una parte di stampa che in ogni caso non ha mai potuto ignorarlo ma nemmeno cercato quando c'era da fare chiarezza. Quell'uomo che non è riuscito più a sentire suo un mondo che gli è appartenuto e che ha rappresentato per oltre un decennio. Quell'uomo che continua ancora oggi a battersi, a riproporsi, a polemizzare se è il caso, proprio come quando gareggiava, perchè non si diventa campioni se non si è prima uomini.

Claudio Ruggiero

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