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Gaeta. Nel Centro Storico Culturale lo stendardo della battaglia di Lepanto. Erasmo Vaudo: «Un patrimonio storico di grandissimo valore»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Erasmo Vaudo, direttore
del Centro Storico Culturale di Gaeta, da poco trasferito nei nuovi
locali dell'Annunziata. Una storia nella storia. «Una struttura
antica. Oggi occupiamo un'area, antica secoli, dedicata un tempo all'ospedale e alle
sale operatorie». Il centro è fondamentalmente diviso in una pinacoteca e in un archivio. Il fiore all'occhiello della pinacoteca è senza dubbio lo stendardo della battaglia di Lepanto.
L’ultima battaglia della marina remica e la prima della marina moderna avvenne il 7 ottobre 1571 al largo delle isole Curzolari. La flotta della Sacra Lega riunita da papa Pio V, composta da navi e marinai d’ogni parte d’Europa e guidata dal venticinquenne ammiraglio don Giovanni d’Austria (1545-1576), figlio naturale dell’imperatore Carlo V il Grande, sconfisse duramente la flotta turca dell’ammiraglio Ali’ Pasa’ Muezzn.Lo scontro fu preannunciato da segni che ciascuna parte interpretò a proprio favore.
L’evento, importantissimo ma certamente non definitivo (l’impero turco visse fino al 1918 e continuò a fronteggiare le potenze occidentali in innumerevoli conflitti), fu salutato come una vera liberazione in tutta l’Europa. Con la fede dell’epoca, la vittoria fu attribuita all’intercessione della Madonna, dato che gli ammiragli cristiani avevano fatto recitare il Rosario ai propri uomini durante la navigazione, come aveva raccomandato il papa stesso.
Fu proprio il cardinale Caetani che fece dipingere al pittore di fiducia della sua famiglia, Girolamo Siciolante da Sermoneta (che operò in tutte le città vassalle dei Caetani), uno stendardo che doveva incoraggiare i cristiani e incutere timore tra i nemici. Esso fu benedetto dal papa e consegnato a Marcantonio Colonna il quale radunò la flotta pontificia a Gaeta prima di congiungerla con quella spagnola a Messina.
Lo stendardo era un vessillo a fiamma rossa bordata d’oro, nel quale la scena sacra Gesù crocifisso tra S. Pietro e S. Paolo e la scritta "in hoc signo vinces" (dipinte su entrambe le facce, ovviamente) apparivano vicino all’albero, una volta issato, mentre il vessillo proseguiva in colori uniformi per circa altri otto metri. Esso fu issato sulla nave di don Giovanni d’Austria sull’albero poppiero, pendente sul mare fin quasi a lambire le onde. Lo stendardo dell’ammiraglia cristiana fu affidato in perpetua custodia al vescovo di Gaeta Pietro Lunello da don Giovanni d’Austria, non appena tornato in Italia, per devozione alla Madonna, a S. Erasmo patrono dei marinai (ricordando i fuochi di S. Elmo che aveva visto prima della battaglia) e per devoto omaggio al padre Carlo V che aveva fortificato la città pochi anni prima. Si ignora come lo stendardo fosse mantenuto, ma ritengo probabile che, date le dimensioni, fosse ripiegato e racchiuso in una teca (come all’origine lo fu la sacra Sindone nella cappella dei duchi di Savoia), o, come ritengono altri, in un armadio con ante vetrate. Nel 1779 il vescovo Carlo Pergamo lo fece tagliare in modo da conservare solo le figure sacre e, stranamente, spostò la scritta sotto le figure; dopo il 1788 fu conservato nella nicchia centrale della parete fondale del presbiterio, rendendone visibile solo una faccia.
Nel corso del XIX sec. fu rigirato per consentire la vista dell’altra faccia (meglio conservata poiché non esposta alla luce) tagliando la scritta. Rimosso provvidenzialmente nel 1940, evitò i danni del bombardamento del 1943; fu sottoposto ad un primo restauro nel 1952 e ad uno più radicale nel 1976, quando fu evidente che l’ulteriore esposizione alla luce solare e al microclima della cattedrale avrebbe nociuto in modo irreparabile. Terminato il restauro, fu esposto nel 1976 e concesso in custodia al Centro Storico Culturale e collocato su un’intelaiatura metallica per meglio consentirne la conservazione e la visione di entrambi i lati.
Poiché si trattava di un vessillo, appositamente dipinto per l’occasione, la tela e le tinte utilizzate erano adatte a tale scopo ma non certamente adeguate a durare a lungo; la scena dipinta aveva anche un significato psicologico, nel suo aspetto vigoroso ma di fattura grossolana, ciò perché era concepita per essere vista da lontano, incoraggiando i combattenti cristiani e terrorizzando i nemici (che in pratica vedevano queste tre figure proteggere dall’alto la flotta cristiana e sventolando la lunga lingua rossa del vessillo verso le proprie navi). La sua intrinseca fragilità ha reso problematica la sua conservazione nei secoli (quando fu tagliato e ridotto alle attuali dimensioni, certamente il resto della tela era molto malridotto) e il suo restauro. Monumento di immenso valore, ricorda un tempo lontano quando il Mediterraneo era (ancora per poco) il centro del mondo e ciò che vi accadeva era destinato a determinare il cammino della storia.
Glauco Di Mambro
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