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Latina. Sinistra Ecologista. Edo Ronchi: «Siamo per una economia di mercato, che sia regolata però ai fini di sostenibilità ambientale e sociale»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Edo Ronchi, già Ministro dell'Ambiente e portavoce nazionale della Sinistra Ecologista. Di che si tratta? «Vogliamo unire in Italia quelle forse disperse di ecologisti orientati a sinistra perché siamo convinti che la qualità dello sviluppo sia il punto centrale della sostenibilità anche ambientale e che ci vuole una società equa per poterla rendere sostenibile, quindi legando giustizia sociale ed ecologia». Qual è la vostra visione economica? «Economia di mercato regolata ai fini della sostenibilità ambientale e sociale. Il liberismo, cioè la visione egoistica dell'economia, è una visione a breve termine ed aggrava la crisi». Sul caso Fiat cosa pensate? «Sono politiche industriali sbagliate. Bisognerebbe pensare forse più al servizio di mobilità sostenibile anziché solo al prodotto auto». Sulla politica di non intervento del Governo? Se il governo non interviene, in un caso come questo dove a rischio ci sono migliaia di posti di lavoro, commette un errore. Spero non segua questa strada»
E Ronchi, a Latina per un incontro organizzato dal coordinamento provinciale del neonato movimento. «Penso che la Sinistra Ecologista debba restare ancorata al suo Manifesto fondativo, evitando di diventare una specie di piccolo partito generalista che si occupa un po’ di tutto. Siamo portatori di una visione, ecologista e di sinistra, globale: operiamo per una riforma dello sviluppo, per uno sviluppo sostenibile, ecologico ed equo. Al nostro interno sul tema dell’uso della forza e della guerra sono utilmente presenti le diverse sensibilità che arricchiscono le culture democratiche della sinistra. Propongo una breve riflessione sulla proposta americana di intervento militare in Iraq, non per aprire una discussione di principio o sui principi, ma poiché registro in quella proposta un’impostazione, sbagliata e pericolosa, che riguarda la qualità dello sviluppo in un suo pilastro fondamentale: la politica energetica. Se il problema fosse veramente di colpire le organizzazioni terroristiche del fondamentalismo islamico e le loro coperture e complicità, il regime di Saddam non potrebbe figurare fra gli obiettivi prioritari di un’azione militare. Il Regime di Saddam, autoritario e dittatoriale, non è infatti un regime integralista islamico, ma anzi, piaccia o no, è tra i più laici della Regione. Non risulta che i gruppi integralisti, ad influenza iraniana, siano mai stati incoraggiati dal Regime di Saddam. La pressione militare, la guerra e l’occupazione dell’Iraq non consentirebbero lo sviluppo in quel paese di armi di distruzione di massa? Con tecnologie complesse come quelle nucleari probabilmente no. Per le moderne armi chimiche e batteriologice bastano, purtroppo, piccoli laboratori e competenze che si possono apprendere in molte università e centri di ricerca sparsi in tutto il mondo: tale proliferazione non non è arrestabile con interventi militari. Allora, perché mai tanta determinazione per tenere l’Iraq nel mirino e per fare, prima o poi, una guerra contro questo paese? Noi ragioniamo, intanto, su alcuni numeri. I consumi di petrolio sono in continua crescita: nel 2000 hanno raggiunto 3 miliardi e 680 milioni di tonnellate, nel 2010, secondo le stime più accreditate, saranno almeno 4 miliardi e 770 milioni, con una crescita di quasi il 30%. Il Nordamerica, che nel 1990 ancora produceva il 60% del petrolio che consumava, è arrivato nel 2000 al 50% e tale percentuale scenderà al 40% nel 2010: il Nordamerica dipenderà sempre di più dal petrolio importato. Le riserve petrolifere del Nordamerica si vanno rapidamente esaurendo: nel 2000 sono solo il 3.7% delle riserve mondiali provate. Quasi l’80% delle riserve di petrolio si trova nei paesi OPEC e circa il 70% nei paesi arabi del Golfo: le principali riserve di petrolio sono in Arabia Saudita, seguita dall’Iraq. Sia detto per inciso: il Nordamerica ha basse riserve anche di gas naturale (4,3%), tali riserve sono per il 40% nei paesi OPEC e per il resto per la gran parte in Russia e nei paesi del Centro-Est Europa. Il Nordamerica è ben messo solo per il carbone, con più del 30% delle risorse mondiali: il carbone però è più inquinante e non può sostituire, in maniera economicamente sostenibile, molti degli usi del petrolio. Gli USA, in riferimento al petrolio, si pongono tre problemi: il prezzo, la sicurezza dell’approvvigionamento ed il possibile uso politico da parte dei paesi arabi. Sono in molti a temere, a fronte di una rapida crescita della domanda mondiale, a fronte di un assottigliamento delle riserve e della capacità produttiva dei paesi non OPEC, una rapida e consistente crescita del prezzo del barile di greggio che ostacolerebbe fortemente le possibilità di ripresa dell’economia USA, energivora e fortemente dipendente dal petrolio. A medio termine gli Usa dovranno importare i due terzi del petrolio che consumano: saranno quindi esposti ad una dipendenza rilevante, per una fonte energetica ed una materia prima strategica. In relazione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi, l’Iraq ha effettuato un taglio, temporaneo, della produzione di petrolio e chiesto, agli altri paesi arabi, di fare altrettanto. L’Arabia Saudita e gli altri paesi arabi non hanno accolto la proposta irachena. Cosa accadrebbe, un domani, se il petrolio fosse usato come arma politica dai paesi arabi? Gli USA, infine, non si fidano più del regime saudita che è in difficoltà e che cerca di ritagliarsi uno spazio di autonomia. Non dimentichiamo che quello saudita è un regime privo di democrazia, con masse, in particolare giovanili, coinvolte dall’integralismo musulmano, in fermento, per condizioni sociali in continuo peggioramento. Nonostante i proventi del petrolio, il regime saudita è fortemente indebitato e sta tagliando le prestazioni assicurate ai settori più poveri della popolazione. Un controllo USA dell’Iraq comporterebbe un controllo della seconda riserva mondiale di petrolio, ridurrebbe il potere di mercato della stessa Arabia Saudita e degli altri Paesi arabi produttori, assicurerebbe un basso costo del barile ed impedirebbe un uso politico del petrolio da parte dei paesi arabi. Se le cose stanno così (e se non si condivide questa valutazione, c’è comunque il dovere di confutarla e di proporne un’altra che stia in piedi, perché quella della lotta al terrorismo per l’Iraq non regge) è bene chiarire che: la logica americana è fuori da ogni riferimento di diritto internazionale che non riconosce a nessuno la possibilità di assicurarsi il controllo su altrui risorse con l’uso delle armi; verso il mondo arabo, e musulmano più in generale, di tutto c’è bisogno, tranne che di una guerra per controllare il petrolio, che verrebbe vissuta come colonialista, ingiusta e radicalizzerebbe ancora di più una parte consistente di questo mondo, favorendo la diffusione del terrorismo; l’Europa non può essere solidale con una simile strategia sbagliata e pericolosa; un modello energetico, ad altro consumo di petrolio, è ormai insostenibile, non solo non va difeso con le armi, ma va cambiato rapidamente, per ragioni ecologiche (il cambiamento climatico), sociali (un più equo accesso alle risorse) ed anche economiche (per ridurre la dipendenza ed il rischio di un’impennata dei prezzi). La questione della qualità dello sviluppo è, anche in questa vicenda, centrale: se si vuol mantenere ancora un po’ questo modello energivoro e dipendente in particolare dal petrolio, allora, alla fin fine, si finisce, con varie motivazioni, col giustificare anche il ricorso alle armi; se lo si vuol cambiare, si mobilitano risorse umane, finanziarie e tecnologiche per sviluppare efficienza energetica, fonti alternative, conversione di produzione e di consumi, in agricoltura come nei trasporti, in vari settori industriali e della produzione di energia elettrica. Colpisce che nel recente dibattito, anche a sinistra, sul possibile intervento militare in Iraq, la questione centrale del petrolio e del modello di sviluppo sia emersa così poco. Per questo propongo che la nostra iniziativa nazionale sull’energia preparata da Paolo Degli Espinosa acquisti un particolare rilievo, diventi una sede dove evidenziare e lanciare sia un’analisi delle tendenze in atto a livello globale, sia l’impianto di una proposta alternativa, credibile ed incisiva».

Marco Battistini

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