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Gaeta. Immigrazione. Jean François Payfa: «Non si può chiedere ad uno straniero di rinunciare alla propria cultura e alla propria tradizione»

Il cammino percorso da Jean François Payfa è conforme al personaggio: personalità fortemente idealista, ha cominciato i suoi studi di diritto spinto appunto dall’ideale di giustizia. Ma, dopo 30 anni di pratica giuridica, visto che la macchina giudiziaria non è in grado di rispondere al concetto che egli ha di eguaglianza, poco a poco si dedica alla scrittura, anche se rimane fondamentale per lui il dialogo, il dibattito, il confronto. Ed è per questo che decide di impegnarsi, parallelamente alla scrittura, anche nell’insegnamento; e non all’insegnamento tradizionale che lui vede limititativo in quanto si rivolge (almeno nel corso di un anno) sempre alle stesse persone, ma all’insegnamento itinerante, curando progetti didattici dei quali nemmeno lui conosce la durata precisa, ma dei quali sicuramente ha ben chiaro l’obiettivo: trasmettere quello che lui ha appreso ed elaborato tramite la sua brillante intuizione ad alunni che “vivono in un paese dove i rapidissimi cambiamenti non sono affatto facilitati dalla posizione geografica del territorio” (l’Italia).
In particolare, il progetto che è stato oggetto della nostra chiacchierata con lui si riferisce all’immigrazione, vista in un contesto politico appropriato e favorevole allo scambio e al confronto di idee in un quadro di dibattiti organizzati sul piano scolastico. Il progetto è diviso in 3 parti: una teorica seguita dal dibattito sulla politica europea e sulla politica nazionale, una costituita dalla proiezione del film “La Promessa” più dibattito (a febbraio) e una, a marzo, che vedrà gli alunni incontrare alcuni “immigrati” che sono perfettamente “integrati” nella società italiana. Ed è proprio su questi due concetti che Payfa incentra la sua riflessione: il suo saggio, che sarà premiato a Genova il 13 dicembre nell’ambito del concorso indetto dall’Università di Genova e relativo proprio all’immigrazione, ha appunto per titolo: “Immigrazione, integrazione”
«Una cosa fondamentale per me è l’incontro con i ragazzi, ed è proprio grazie a loro che modificherò il testo del mio saggio: integrazione significa infatti "diventare simile a…", come possiamo verificare su qualsiasi vocabolario, e già qui si commette un primo errore. È impossibile chiedere a qualcuno di dimenticare la propria cultura, le proprie usanze, per uniformarsi totalmente all’ "altro". Un’intuizione con la quale i ragazzi hanno colto nel centro: secondo me l’ “immigrato” dovrebbe, dal punto di vista legale, rispettare la legge del paese che lo “ospita”, e da un punto di vista più che altro morale, imparare assolutamente la lingua. Non conoscere la lingua significa infatti assenza di dialogo, e quindi conflitto. La situazione in Italia è poi diversa da tutti gli altri paesi europei, poiché geograficamente parlando, a Est abbiamo tutti paesi che non fanno parte dell’ UE, con situazione economica disastrata, e a sud abbiamo l’Africa. L’Italia ha una frontiera lunghissima, ed è impossibile controllarla tutta. A livello europeo, inoltre, il lungo cammino iniziato con gli accordi di Schengen del 1985 proseguito con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e giunto al culmine con la conferenza di Tampere del 1999, si è arenato in seguito all’11 settembre. C’erano ottime intenzioni, tra le quali quella di inviare agenti proprio nei posti da dove partono i clandestini per verificare “dal vivo”cosa realmente succede, e dare fondi all’Italia per rinforzare le sue frontiere, vista la delicatezza della sua posizione. Ritornando all’Italia, la sua situazione è particolare anche per il tipo di immigrazione che vi troviamo. I clandestini infatti vedono l’Italia solo come un punto di passaggio per poi arrivare nel centro Europa. Ma visto che hanno speso tutti i loro averi per il viaggio, gli servono soldi per l’ulteriore tratto che devono percorrere, e cercano di procurarseli in fretta con attività il più delle volte criminose. L’Europa a tutt’oggi non ha politica estera comune, e se ci sono voluti 20 anni per realizzare l’impresa dell’Euro (20 anni durante i quali tra l’altro si è arrestata del tutto o o quasi la politica sociale europea), quanto ci vorrà per risolvere il problema dell’immigrazione? Io penso che una cosa è sicura: è impossibile arrestare l’immigrazione (come d’altronde la prostituzione, la droga o la pedofilia), non c’è nessuna legge che possa impedire a qualcuno che non sta bene nel suo paese di cercarsi un posto migliore per vivere. Da una ricerca dell’ONU sappiamo che nel 2025 i paesi dell’UE saranno in cerca di immigrati, per fare i lavori che gli europei non saranno più disposti a fare. E allora come la mettiamo con il processo che secondo me oggi si innesca ogni qual volta incontriamo l’ “altro”, e cioè: curiosità-paura-fobia-xenofobia-razzismo-rigetto-conflitto? Se a tutto ciò aggiungiamo il post 11 settembre, ci accorgiamo che la situazione rischia di diventare davvero critica. Dobbiamo perciò cercare di renderci conto di quello che effettivamente ci sta attorno, e i politici dovrebbero volgere i loro sforzi verso obiettivi pratici, e non verso luoghi comuni, come purtroppo oggi stanno facendo quasi sempre».

Glauco Di Mambro


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