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Latina. Speciale Agroalimentare. Cesare Ferretti: «Indispensabile intervenire a livello culturale. In questo settore manca la professionalità»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Cesare Ferretti presidente di Unioalimentari Lazio. «Come imprenditore dell’agroalimentare non posso che rilevare la necessità di tecnici specializzati nel settore. Porrei l’accento, però, anche su un fattore culturale. Nonostante oggi la classica figura del "contadino" sia ormai superata, rimanendo quasi un’icona del passato, l’idea che la società ancora ne disegna è quella di una figura poco evoluta, c’è ancora un retaggio fortemente letterario che accompagna tutto il mondo dell’agricoltura. Questo, se da una parte costituisce un fattore positivo, contribuendo a ricostruire quell’immagine bucolica delle nostre campagne e favorendo il consumo di determinati prodotti, che, proprio per questa immagine bucolica vengono reputati sani e genuini, dall’altra allontana le giovani generazioni da una preparazione tecnica nel settore agricolo. Il nostro territorio è ancora figlio della Cassa del Mezzogiorno, di quel momento in cui i giovani abbandonavano le campagne per "il posto in fabbrica" che garantiva stipendio e contributi e costituiva una sorta di avanzamento nella scala sociale».
«Dico questo perché l’evidenza parla chiaro: una scuola come quella che oggi ci ospita, l’Istituto Agrario San Benedetto - una struttura in piena controtendenza rispetto agli altri istituti secondari del capoluogo, dove manca tutto - una scuola attrezzata come questa, che dovrebbe vedersi costretta ad affrontare il problema dei troppi iscritti, probabilmente è ancora sotto-frequentata. Torniamo quindi al fattore culturale ed al traino che può essere, per tutta la formazione del settore avere una Facoltà Universitaria di altissimo livello e specializzazione, che, per la sua particolarità, può richiamare anche studenti da fuori provincia contribuendo così, non solo a rendere più vivace il territorio, ma anche a restituire a tutto il mondo dell’agricoltura quel prestigio che le è proprio. Dalla formazione alla qualità: l’avere a disposizione tecnici di altissimo livello non può che comportare un continuo innalzamento della qualità, sia come processo produttivo che come risultato finale. Bisogna essere competitivi: se questo è vero in ogni settore economico, deve essere un imperativo nel comparto produttivo più importante del territorio. Quindi, l’agricoltura nella nostra provincia deve essere sempre più capace di affrontare il mercato mondiale senza dover ricorrere artificialmente a sovvenzioni, tranne, ovvio, che in casi particolarissimi di calamità naturali. Questa forza competitiva, però, non può basarsi sulla quantità a basso costo, ma deve puntare alla qualità ed alla tracciabilità del percorso produttivo, garantendo così la possibilità di certificare, e quindi di conoscere, ogni passo tramite il quale il prodotto alimentare arriva a tavola. Deve essere una agricoltura a minimo impatto ambientale, non solo per garantire la genuinità dei prodotti, ma anche per lasciare quanto più possibile inalterato, e semmai arricchire, un paesaggio che va venduto insieme al prodotto. In questo senso dobbiamo pensare ad un’agricoltura poliedrica, ricca di tradizioni, la cui finalità non è solo produrre. Abbiamo parlato di qualità e tracciabilità del prodotto: tornerei sul concetto di tracciabilità. Il sistema di filiera è ormai un processo, almeno per grandi linee, noto a tutti. La filiera “completa” è quel processo produttivo che consente di riportare ogni momento della produzione ad un unico territorio, permettendo così di poter controllare completamente l’intero iter produttivo. Coltivo. Trasformo. Confeziono. Distribuisco. Vendo. In questa chiave di intera tracciabilità, il territorio assume una forte valenza rispetto alla valorizzazione dei prodotti tipici. E questo come fattore culturale. Come fattore qualitativo, l’idea della completa tracciabilità porta con sé l’idea del possibile controllo di ogni fase. Un controllo che va visto in chiave positiva, nel senso che permette al produttore di avere un "attestato di garanzia" sui propri prodotti. Parlando di attestato di garanzia non si può che andare con la mente ai Marchi di Qualità: come diceva prima il Presidente Calzati, la mozzarella di bufala è campana ed il carciofo è romanesco. Sono, quindi, sì marchi che attribuiscono determinate qualità a certi prodotti tipici anche della nostra provincia, ma che non portano un ritorno di immagine alla nostra provincia. È importante, quindi, lavorare anche sulla terminologia: in tal senso posso dire che siamo a buon punto nei percorsi di riconoscimento dei marchi Olio Latino e Kiwi Latina che nell’aggettivazione richiamano più specificamente al nostro territorio. Quella dei marchi riconosciuti in sede europea, però, non è la sola strada da seguire: è una delle strade da seguire e che sicuramente conferisce prestigio e dà garanzia al consumatore. Ma non dobbiamo dimenticare che le strategie di marketing vanno messe in atto ad ogni livello. In questo senso la Camera di Commercio si è fornita di un marchio, il Club del Gusto, che già può considerarsi un filtro di qualità ed un indice di riconoscibilità per il consumatore, che entrando in quel ristorante o acquistando i prodotti di quell’azienda agricola, sa già che c’è stata una scelta di qualità a monte. Come Federlazio, come Unionalimentari del Lazio, stiamo lanciando un marchio che vuole comunicare come messaggio proprio la ricerca del prodotto tipico.
«"Lazio ghiotto" è un marchio che consente di identificare una serie di prodotti locali, di ottima qualità (certificata sia dal prodotto finale che dalla tracciabilità del processo produttivo). L’idea per "Lazio Ghiotto" è quella di un lancio commerciale che può assimilarsi ad un franchising, o meglio, ad una vetrina, o come si dice con un termine forse un po' abusato, ad un paniere che offra una serie, quanto più variegata possibile, di prodotti di aziende locali. "Lazio Ghiotto", quindi, è un marchio che va ad aggiungersi e a coordinarsi con altre iniziative similari nello scopo, come Le Strade del Gusto o il Progetto Stile, volte ad armonizzare un settore, a proporre combinazioni gastronomiche e culturali che possano offrire un "pacchetto completo". Riallacciandomi ancora alle proposte del Presidente Calzati, e alla proposta che fa da filo conduttore a questo convegno - la certificazione territoriale - vediamo che le cosiddette potenzialità anche nel campo della promozione ci sono. Forse iniziative che arrivano con qualche minuto di ritardo, ma arrivano. Forse alcune ancora un po' scoordinate, ma comunque fresche di entusiasmo. Un entusiasmo che, peraltro, trova anche una forte motivazione nella particolarità di tutto il sistema logistico del territorio. È superfluo stare qui a ricordare quanto la logistica sia importante in ogni settore produttivo, ma di certo nel settore alimentare assume una valenza primaria, considerata la deperibilità di alcuni prodotti e, comunque, la severa normativa a cui è sottoposto tutto il comparto. Il nostro territorio, non lo dimentichiamo, è dotato di una serie di strutture che alle volte, chi non è strettamente del settore, tende a dimenticare: pensiamo al Mercato Ortofrutticolo di Fondi e anche al Mercato Ortofrutticolo di Latina. Sono risorse che, una volta decollata la rete che va dal Porto Commerciale di Gaeta, all’Intermodale di Latina Scalo, potranno esprimersi con un vigore ancora più incisivo».
«In conclusione: gli elementi per arrivare a pensare il territorio provinciale come un’unica impresa agro-alimentare ci sono tutti: c’è il prodotto, c’è la sua tracciabilità di produzione e distribuzione; ci sono le strutture; c’è anche un fermento notevole a livello di marketing; quanto alla formazione, già di buon livello, questa può essere accresciuta notevolmente. Occorre lavorare, come detto in apertura, su un fattore prettamente culturale, il cui primo atto deve essere una "ufficializzazione". Ufficializzazione che può arrivare da un riconoscimento al livello universitario, ma prima ancora deve arrivare da un riconoscimento istituzionale, mirato anche a supportare il settore, come il riconoscimento di Sistema Produttivo Locale dell’Agro-alimentare. Per il settore agroalimentare della cui importanza non basta essere tutti d’accordo, occorre lavorare sia in una direzione tecnica, che culturale, riconoscendogli, non solo un ruolo economico di fondamentale importanza, ma anche la prestigiosa valenza sociale che ha dimostrato di avere».

Elisabetta Rizzo

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