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Roma. Muratori. Edoardo Erba: «Il muro dell'egoismo, della mancanza di comunicazione.
Ma anche il muro per difendersi, inutilmente, dall'amore»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Edoardo Erba, drammaturgo, scrittore
autore tra l'altro de «Muratori», in scena in questi giorni
al Teatro Sala Due in via dei Macelli, a Roma, fino all'8 dicembre.
Un testo che fa ridere, anche se è una risata molto amara...
«Non lo so se è amara. La risata è risata. A me interessa che si entri
in simpatia con i personaggi».
Una tua tematica ricorrente è il sogno. Pensiamo ad uno dei tuoi primi lavori,
«La maratona di New York» o «Venditori». Una funzione liberatoria?
«Il sogno ha una specie di autonomia. La passione, per il sogno, è dovuta al fatto che tutti
cerchiamo una uscita in questa strettoia in cui si è cacciato il pensiero
in questi ultimi tempi».
Torniamo a «Muratori». I protagonisti sono portati a confrontarsi con se stessi, con la dimensione esistenziale, il tutto in una attesa che ricorda
«Aspettando Godot»...
«Rispetto a Beckett c'è un andare avanti e un ritornare allo stesso tempo indietro, avendo recuperato
pezzi di tradizione, per una certa simmetria del lavoro e per il dialetto.
Il tutto affrontato in maniera comica».
Ci sono anche molte simbologie. Su tutte, quella del muro.
Un muro che isola, che divide...
«E che cerca di escludere l'amore, un sentimento dirompente. Il tentativo di
chiuderlo fuori. Inutilmente, perché le emozioni vincono sempre. È il primo
spettacolo che scrivo che è un po' ottimista».
Parliamo di nuova drammaturgia. Dacia Maraini ha lamentato una crisi del
teatro di parola, di una perdita del "testocentrismo"...
«È il caso di alcuni grandi registi. In una crisi economica così forte io non vedo in
giro grandi kolossal. Io al teatro di parola ci ho sempre creduto.
Spero di dare un contributo. Lascio agli altri il giudizio».
Claudio Ruggiero
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