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Latina. 70esimo sotto tono. Antonio Pennacchi: «Celebrazioni inorganiche?
Mica è colpa di Zaccheo. Prendetevela con gli intellettuali»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS lo scrittore Antonio Pennacchi.
In occasione del 70esimo anniversario di "fondazione" della città,
momento importante per l' "orgoglio di appartenenza" della comunità, che per un dovere di correttezza storica andava ricordato il 30 giugno e non il 18 dicembre, l'amministrazione comunale ha organizzato una serie di
appuntamenti: sono stati coerenti e organici o, come si è
da più parti sostenuto, confusionari e costosi?
«Due parole su questa puntualizzazione della fondazione. A me
sembra un po' una fesseria: il 30 giugno è una "curiositas", non un vero e proprio nodo storiografico.
I nodi storici sono altri, a monte e a valle. Pensiamo per esempio alla differenza dell'impianto bonificatorio che voleva fare il Consorzio di Bonifica e quello che fa invece l'Opera di Cencelli. Un altro nodo storico è il 1935, quando Cencelli viene cacciato dall'Opera Nazionale Combattenti.
Ora, tornando alla domanda, è vero che le manifestazioni per il 70esimo possono fin qui non avere avuto un disegno ordinario e coerente, ma è anche vero che una riflessione storiografica complessiva non è ancora iniziata e il 70esimo può anzi servire per metterla in piedi. A tutt'oggi manca una visione generale e complessiva, ma questa visione non è assente solo nell'amministrazione comunale, è assente soprattutto al mondo della cultura e della storiografia, specie locale. Quando si dice: "Studiamo la bonifica", un sacco di gente ancora oggi risponde: "Che la studiamo a fare?
Ormai sappiamo già tutto". Lo diamo per scontato ma in realtà non è così. Tutte le ragioni di fondo che sottostanno alla bonifica e alla fondazione della città non sono ancora state
studiate. E non dall'amministrazione, ma dal mondo della cultura. Noi non abbiamo una visione
complessiva della bonifica pontina. Per anni abbiamo creduto che Littoria e la bonifica fossero un elemento di propaganda del regime e ci siamo dimenticati che nello stesso frattempo in Italia venivano fondate oltre 80 "città nuove": in Sicilia, in Puglia, in Campania, in Istria, in Sardegna, in Toscana. Latina è la punta emergente di un processo enorme che ha coinvolto l'intero Paese e il suo (ri)disegno
rurale». Un microcosmo da esportare? «No. Il modello progettuale vero fu quello di Aprilia, di Borgo
Montenero. La fondazione di Littoria è un episodio che porta a un momento successivo.
Littoria non è che una prima fase. Gli architetti non sono in questi anni coinvolti in questi casi. Il modello progettuale si costruisce pian piano. Non nelle università, nelle accademie,
ma sul campo. E poi si esporta. È esattamente il contrario, dunque. Latina non viene fatta
per essere esportata, ma in re, nel divenire delle cose attraverso scontri sociali all'interno del fascismo stesso. Il fascismo ha significato la guerra, ha significato le leggi razziali, e su questo non c'è da discutere, ma ha anche significato la modificazione del panorama agrario del Paese. Una vera
e propria riconquista del territorio.
Ora questo non va visto come "canto di sé stessi", anche se una comunità cresce anche con le
feste di paese. Bisogna però "capirsi" e per capirsi bisogna per esempio fare
storia comparata. Negli stessi anni di Littoria vengono fatti grossi interventi di bonifica
nel Tennessee, in Olanda, e in Siberia. In Russia vengono fondate 2000 città nuove.
È evidente che non possiamo pensare questi fenomeni disgiunti uno dall'altro, ma questi
fenomeni sono in relazione. Solo studiando attentamente queste relazioni e contestualizzando storicamente Latina riusciamo a capirci. Apprendendo per esempio che i "ceti dirigenti" dei Monti Lepini hanno avuto un ruolo parassitario nei riguardi della palude. Per Littoria ci sono voluti investimenti esterni, c'è
voluto Cencelli, c'è voluto il Nord, c'è voluto Prampolini.
L'unico modo per capirci è ristudiarci, ricomprenderci, contestualizzandoci nella nostra storia.
Dentro di noi abbiamo molte più cose e la nostra città rappresenta molto di più di quanto noi stessi pensiano. Occorre studiare. Occorre che l'amministrazione si dia strumenti e metodi ma, lo ripeto, c'è un gap nei "centri intellettuali".
Basta dire che in questi giorni di "celebrazioni" c'è stato anche chi ha "riscoperto" gli affreschi del Vittorio Veneto. Quegli affreschi che fanno schifo, proprio sul piano estetico, e il primo è stato Mussolini a dire: «E chi è 'sto cane?». Michelangelo pare Totò. E furono coperti. Mica per niente, solo perché erano
brutti. Abbiamo speso un sacco di soldi per restaurarli, i pittori sono diventati
maestri e ci facciamo pure i libri. Allora non si capisce più cosa sia
la cultura. Intendiamoci però: cani restano e la loro apologia ha il sapore di
un atto feticistico. Ma mica è colpa di Zaccheo. Zaccheo che ti deve rispondere? "So' belli per te, figurati per me". La colpa è di Sabino Vona, non di Zaccheo».
Elisabetta Rizzo
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