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Gaeta. Dramma disoccupazione: il Cravattificio Pompei. A telecamere spente:
«La stampa scrive che sono tutte rose e fiori. Ma non è così»
«Sembrava un giorno come gli altri per noi, ed eravamo fuori l'azienda per entrare a
lavorare come al solito. E invece no: l'Amministratore Salvatore Valeriano aveva indetto un
incontro straordinario, all'Assindustria di Latina; è stato lì che abbiamo scoperto che
l'azienda avrebbe cessato l'attività e portato i libri in tribunale».
Inizia così il racconto di alcuni dipendenti (o ex-dipendenti?) del Cravattificio Pompei
di Formia, che hanno preferito non essere ripresi dalle nostre telecamere per via
dell'estrema delicatezza dell'argomento trattato.
«Tornati da Latina siamo rientrati al cravattificio e abbiamo indetto un'assemblea che
è sfociata nella decisione di attuare una forma di protesta più radicale: così abbiamo
deciso di rimanere in assemblea permanente. Durante l'assemblea abbiamo ricevuto
molte visite ufficiali e ascoltato molte parole da parte di numerose personalità
politiche locali e non, ma di concreto ci sono state solo le casse d'acqua che ci
hanno inviato i Comuni di Suio e Castelforte e poco altro. Eravamo comunque sulla
bocca di tutti, la gente sapeva oramai perfettamente della situazione del cravattificio, ma
a parte la solita retorica di circostanza non si smuoveva niente; allora abbiamo continuato
a fare manifestazioni e cortei riuscendo a coinvolgere anche le scuole. L'11 gennaio,
ad esempio, siamo partiti da Via Spaventola e siamo arrivati fino a Via Vitruvio
con più di 500 persone al seguito: abbiamo incontrato il senatore Michele Forte,
ma siamo rimasti amareggiati nello scoprire che l'onorevole Gianfranco Conte non
era presente. Comunque, tutte queste manifestazioni culminavano con quella del 23 Gennaio a
Roma (dove tra l'altro Storace ci ha letteralmente ignorato); lì scopriamo che
l'amministratore non avrebbe più portato i libri in tribunale. Questo significava per
noi l'aprirsi di uno spiraglio: l'azienda aveva necessità impellente di aprire.
Così abbiamo deciso di sciogliere l'assemblea lo stesso 23 gennaio, un po' più
fiduciosi della situazione. Il 28 Gennaio ritorniamo infatti all'Assindustria e lì
firmiamo un verbale d'accordo dove si stabiliva sì una procedura di cassa
integrazione a zero ore, ma dove si dichiarava anche che lo stato di crisi dell'azienda
permaneva. A quel punto l'opinione pubblica si era praticamente dimenticata di noi
con la cessazione dell'assemblea permanente, e il fatto di aver ottenuto una cassa
integrazione ha fatto parlare i giornali di "situazione risolta al Cravattifiico Pompei,
crisi superata" e cose del genere. Ma ciò non è affatto vero».
E come stanno allora realmente le cose? «Attualmente le cose stanno così: noi siamo 230
dipendenti, ma l'azienda non può farci lavorare tutti, ed ora si stanno alternando
77 persone fino alla scadenza dei contratti di solidarietà, con un orario che prevede
5 ore al giorno per 15 giorni al 70% della paga. Tutto ciò senza aver ricevuto né la
tredicesima, né lo stipendio di dicembre, né le ultime due settimane di solidarietà. Senza
contare che sono 2 anni che l'amministratore non paga l'INPS! Siamo con le mani legate,
perché non possiamo licenziarci altrimenti perdiamo liquidazione e arretrati, ma non
possiamo nemmeno trovarci un'altra occupazione perché non si possono dichiarare due lavori».
E adesso cosa vi aspettate dai prossimi sviluppi?
«La situazione è critica anche perché la globalizzazione fa sì che le piccole aziende, prima
protette dai consorzi, si trovino senza alcuna copertura: quello che ci preoccupa è la
situazione globale, appunto, perché se andiamo a vedere bene, da Latina in giù c'è il deserto:
le fabbriche stanno chiudendo tutte, una dopo l'altra, e Storace ha un bel po' di colpe
in tutto questo.
Perché tutto quello che ha fatto per il frusinate, non lo fa anche per il sud-pontino?».
Alla luce di questa analisi, allora, quali sono le vostre speranze?
«È chiaro che il fatto che si verifichi una riassunzione di tutti e 230 i dipendenti come
se nulla fosse successo è altamente improbabile; il problema inoltre sta più alla radice,
perché è la struttura stessa dell'azienda che è sbagliata. Il cravattificio infatti
è dislocato su 3 piani, cosa che frammenta molto la produzione: bisognerebbe presentare
un piano industriale che preveda almeno una nuova sede distribuita su un unico piano.
La presentazione del piano industriale permetterebbe di avere anche un sovvenzionamento
dalla regione, e infatti l'amministrazione sta lavorando su questo. Ma noi non sappiamo
assolutamente cosa stia scrivendo l'amministrazione in quel piano industriale, e questo
non ci va giù. Il Comune di Formia è stato incredibilmente estraneo a questa faccenda,
non si è adoperato per niente, e la stampa stessa ha cercato di dipingere tutto
rosa e fiori per mettere a tacere una situazione che invece non è rosea per niente.
Avevamo paura a parlare perché esporsi in prima persona in queste situazioni non è
mai consigliabile, ma la gente deve sapere che il problema del cravattificio non
è stato superato, e che noi, allo stato attuale delle cose, siamo ancora praticamente
senza lavoro».
Glauco Di Mambro
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