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Latina. No Global, uno strano pianeta. Non sanno cosa contestano e si aprono a tutti: agli stitici, ai filatelici ed agli zampognari del presepe

Contro la globalizzazione, il mostro che fa "buh" ai popoli e alle anime belle nella Notte di Halloween della sociologia chic, sono scesi ormai in campo tutti quanti: no global in tuta bianca e nera, pacifisti, vegetariani, disobbedienti, difensori delle "culture multiple" e delle "identità irriducibili", fieri oppositori della "cultura indifferenziata" e persino difensori delle "biodiversità", la madre di tutti i paroloni. Di questo passo dichiareranno guerra alla globalizzazione anche gli stitici, i filatelici e gli zampognari del presepe. Ma contro che cosa precisamente si schierano i nemici del "globalismo"? Con globalizzazione, qui nelle società aperte, s'intende il progetto d'un mondo senza barriere, agile, grasso, dinamico, libero e possibilmente vantaggioso per tutti. Un mondo che per funzionare, come tutti si augurano, specie i paesi poveri, deve poter contare su governi legittimi e rappresentativi o almeno favorevoli alla libera circolazione degli uomini, delle idee, delle tecnologia e dei capitali. Anche il mercato globale è un'utopia, intendiamoci. È l'utopia dell'Occidente e delle società aperte. Si fonda, da un lato, sull'idea che il sistema delle libere elezioni e dei diritti civili sia superiore ai sistemi che negano le une e gli altri e, dall'altro, sull'esperienza di due secoli di storia economica, durante i quali è stato dimostrato che il modo di produzione capitalistico produce risultati di gran lunga superiori. Questa, in soldoni, è lo scenario della globalizzazione secondo i globalisti. Che cosa intendono per "globalizzazione" i suoi nemici? Intendono, strano a dirsi, esattamente la stessa cosa, solo che arricciano il naso quando qualcuno, in loro presenza, osa pronunciare la parola capitalismo e se ne escono con una risatina sarcastica qundo sentono parlare di diritti civili o di libere elezioni. Gli antiglobalisti, che hanno ereditato le superstizioni del vecchio mondo bipolare, crollato nel 1989 insieme al Soviet supremo, detestano il capitalismo in tutte le sue forme e continuano a pensare che la "democrazia formale" sia un imbroglio, una truffa per impillolare gl'ingenui. Ancora si capirebbe la loro furia ideologica se per globalizzazione intendessero qualcos'altro. Per esempio polizie politiche onnipotenti e barriere di filo spinato. Oppure campi di lavoro, di rieducazione e di sterminio. Spietate dittature. Teocrazie svergognate. Invece no. Gli antiglobalisti odiano a colpo sicuro proprio le virtù della globalizzazione: l'economia senza vincoli, il benessere, il diritto al perseguimento della felicità. Per loro è la libertà e non la sua assenza che fa problema. Come si spiega? Si spiega con il fatto che gli antiglobalisti non sono affatto scesi in guerra contro la globalizzazione. Sono scesi in guerra contro le parole che la descrivono. Non odiano il capitalismo. Odiano la parola "capitalismo". Non hanno niente contro l'Occidente. È che non gli piace la parola. Quando un signor progetto globalista, prima del 1989, si chiamava socialismo reale, quella particolare globalizzazione andava benissimo agli attuali no global. Eppure il socialismo reale era un sistema politico chiavi in mano che esportava ai quattro angoli del mondo la "cultura indifferenziata" del comunismo schiacciando senza tante storie tutte le "culture multiple" e le "identità irriducibili" che trovava sul suo cammino. Ma aveva, ai loro occhi, un suo speciale fascino. Non perchè la "cosa" (il globalismo) fosse buona o desiderabile in sè ma perchè la "parola" che lo descriveva (socialismo) era bella e nobile.
Nella foto una delle pagine più assurde e vergognose degli ultimi anni. Un teppista, Carlo Giuliani, diventato nell'imagerie dell'estrema sinistra un martire. Un martire morto con un passamontagna (per non prendere freddo?) e con un estintore in mano. Non un mazzo di fiori. Un estintore.

Mauro Cascio


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