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Aprilia. «Zio Vania». Ivo Garrani: «Una condizione esistenziale seminata di insoddisfazioni,
di ingiustizie, di piccoli e grandi fallimenti»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Ivo Garrani, con Andrea Giordana in
Zio Vania" di Anton Cechov.
«Credo sia impossibile, oggi, almeno per me, avvicinare Cechov con l'idea di cercare una
"nuova" interpretazione delle sue opere dopo le proposte dell'ultimo mezzo secolo. Ma la
scrittura del suo teatro è così provocatoria che prima o poi si è costretti ad accettarne
il confronto, si è spinti, come dire, da una "necessità," sconosciuta ma irrinunciabile,
a testimoniare l'esperienza di un viaggio nel suo mondo. E questo vale soprattutto per gli
attori. Perché per Cechov, più che per altri, è vero ciò che è vero per tutto il grande
teatro: le sue parole trovano la giusta eco solo se pronunciate
(bene) dall'unico insostituibile intermediario: l'attore.
Da qui parte il nostro lavoro: dall'appropriazione del personaggio cecoviano, dei
suoi conflitti, cancellando il suo essere russo, come categoria umana restrittiva,
assumendolo come "uno di noi", confrontandoci con lui, oggi, come uomini di oggi, e
affrontando la sua complessa e contraddittoria umanità. Vorremmo portare questi personaggi
ancora più "dentro" al nostro mondo, al nostro pubblico. Credo non sarà difficile
riconoscere nelle loro parole, nella loro condizione, il nostro stesso disagio per
una condizione esistenziale seminata di insoddisfazioni, di ingiustizie, di infiniti,
piccoli e grandi fallimenti, dislocamenti fisici e culturali invivibili, pressati
dal dover apparire, fare, guadagnare, lasciati, alla fine, soli, con un pugno di
mosche in mano e, per i più fortunati, con una unica ancora di salvezza: la fede. Ma
questo Cechov, almeno esplicitamente, non lo dice. Tocca a noi, come sempre , deciderlo e
assumercene la responsabilità».
Claudio Ruggiero
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