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Roma. Jacques. Igor Grcko: «Non abbandonare la retta via lastricata di maschere dei
tuoi avi, è questo il messaggio amaro della mia piece»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Igor Grcko.
Si potrebbe riassumere in due parole il significato di "Jacques", il suo nuovo spettacolo
in scena fino al prossimo 30 marzo al Teatro Agorà di Roma, in via della Penitenza: si
potrebbe dire che vi si parla dell'assenza dell'interazione tra gli esseri umani,
intendendo per interazione il prendere in considerazione l'individualità della persona
con cui si sta comunicando.
Si potrebbe, se non fosse che lo stesso regista avvisa di non aver "voluto dire niente" e
che "l'unica intenzione è mettere in scena un pezzo di questo mondo e farlo vedere a chi
vuole. Poi, se a qualcuno non piace ciò che vede, può sempre, una volta uscito dal teatro,
andare e cercare di cambiarlo. Altrimenti, va bene così".
E se non fosse per il fatto che non renderemmo giustizia alla complessità del testo e della
regia se non dicessimo nulla di più.
Grcko nel suo testo affronta il tema di quella morsa che impedisce lo sviluppo dell'individuo
chiamata famiglia, dove l'educazione dei figli passa attraverso l'insegnamento a vivere
come qualcosa di naturale e spontaneo ciò che invece è imposto, favorendo, così, una
ciclicità - intesa come continuità delle regole e delle norme sociali, solo apparentemente
civili e liberali - impossibile da spezzare senza che subentri una presa di coscienza
della giustezza e della naturalità della differenziazione.
Alla fine del viaggio diviso in sette tappe - nascita, educazione, istruzione, fidanzamento,
lutto, matrimonio e riproduzione -, fatto per "diventar grande", Jacques, dopo aver
assorbito il trauma dell'imposizione, diventerà a sua volta genitore, educando i suoi
figli allo stesso modo di come i suoi genitori avevano educato lui. Facendo "tanti sacrifici
e sortilegi".
"Non abbandonare la retta via lastricata di maschere dei tuoi avi" è ciò che viene ripetuto a
Jacques da Jacques madre e Jacques padre. Ed ecco che con la maschera addosso e non più
distinte dai nomi anche le persone diventano tutte uguali.
Come i membri della famiglia Jacques e quelli dei loro amici Robert, caratterizzati
solo da diverse montature di occhiali, e uniti, tra le altre cose, dallo stesso padre
spirituale, Jacques-Robert.
Che parlano, parlano, per non dirsi nulla.
Come fa la TV, da cui escono parole vuote che certo non stimolano gli spettatori a
riflettere, ma che, al contrario, veicolano messaggi da "inculcare" nelle nostre menti
in maniera subdola.
Grcko ci mostra una TV alternativa, che mostri le cose così come stanno, senza prendere
una posizione, inducendo così il pubblico stesso alla riflessione: costruisce infatti una
cornice alla storia di Jacques, quella di un documentario in cui un conduttore racconta
agli spettatori, che vedono lo svolgersi del programma come fossero in uno studio, le
abitudini di Jacques e della sua famiglia, da lui presentata come una specie rara.
Una forte vena satirica e una comicità sottile attraversano lo spettacolo, mettendo in
risalto le contraddizioni presenti in tutte le famiglie. Nonostante l'approccio "dell'assurdo",
su una messa in scena volutamente esagerata e stereotipata, la somiglianza con "una famiglia
tipo" raggiunge una realisticità che sfocia nel grottesco.
Il fatto stesso di presentare l'intero spettacolo nella forma di una surreale trasmissione
televisiva, a cavallo tra divulgazione scientifica e spirito nazional-popolare, conferisce
alla pièce un grottesco sapore di maniacalità didascalica, attraverso la quale lo spettatore
viene condotto per mano (attraverso le sette scene - quadri, che corrispondono ad altrettanti
servizi televisivi, tra i quali c'è un nesso logico ma non drammaturgico) in un ironico
viaggio alla scoperta della mediocrità e dei canoni assorbiti fin dai primi anni di vita.
Claudio Ruggiero
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