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Roma. Corpo celeste. Lina Sastri: «Tutto ciò che è stato può aiutarci a proiettarci in avanti, verso un futuro che sia davvero migliore»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Lina Sastri, in scena in questi giorni a Roma con il suo «Corpo Celeste» Un monologo, quello della Sastri, che ha lo scopo finale di ridare speranza, appunto, per recuperare la memoria, ovvero la libertà di ricordare la propria storia. La Sastri, in un dialetto partenopeo strettissimo e suggestivo, inizia a parlare dei ricordi della Napoli dei bassi dove "c’era sempre la sedia buona per chi veniva da altri quartieri" e si stava a godere del sole. La scena si illumina di luce gialla a la Sastri canta, anzi recita, una brevissima O sole mio. Poi ci fu la guerra... "e fummo America": diventammo altro dalla nostra storia. Iniziarono le contaminazioni: splendida l’originale l’interpretazione a questo punto di Tammurriata nera. Le canzoni alleggeriscono lo spettacolo ma non distolgono mai l’attenzione dal tema principale. Canta la Sastri, anzi interpreta nel senso letterale del termine, Munastero e santa Chiara, Reginella, Era di maggio che si avvalgono di suggestivi arrangiamenti acustici suonati da Michele Montefusco (chitarra) e Emidio Ausiello (percussioni). I temi e i pensieri del recital sono “mostrati” anche attraverso diverse immagini pittoriche inserite nella bella scenografia da Alessandro Kokocinski. Alla fine, incalzata dalle domande di un uomo che appare in scena (Alessandro Federico) la protagonista offre un messaggio di speranza: tutto ciò che è stato può proiettarci in avanti, verso un futuro migliore e può renderci migliori; può aiutarci a capire le diversità e ad aver rispetto di tutti "su questo corpo celeste che è la terra", nonostante un presente che ci invita alla chiusura e a dimenticare.

Claudio Ruggiero

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