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Latina. Ramelli, vittima di un'epoca. Ferdinando Parisella: «Noi siamo stati testimoni di quegli anni. Guercio mi chiese di portarlo a Valle Giulia»

«Gentile direttore, a margine della rappresentazione teatrale sulla tragica morte nel 1975 di Sergio Ramelli, mi sento obbligato ad intervenire. Recita l'invito al Teatro, riflessioni sugli anni 70. Bene. Riflettiamo. Anni 70 e poi di piombo. Sono uno dei protagonisti, ormai quasi cinquantenne. La tolleranza, la pace, la libertà di pensiero e di espressione. Tutto ciò a Latina è stato quasi possibile, in quegli anni. Ma a Roma e nelle altre grandi città, purtroppo no. Ne sono testimone diretto. Perchè in quegli anni la mia militanza, scomoda a destra, era totale e non ha avuto confini provinciali. E come i ragazzi di sinistra, anche noi avevamo relazioni quotidiane con i nuclei giovanili sparsi in tutta Italia. C'è stato del romantico in queste vicende. Vi assicuro. Sia a destra come a sinistra il nostro impegno politico e culturale ci è servito per essere oggi degli uomini impegnati nella società. Ma poco è stato colto dalla cultura "ufficiale" dell'epoca. Eravamo dei ragazzi come gli altri. Con le stesse pulsioni, emozioni, sogni. Magari con alcuni valori di riferimento differenti. Ma lo spirito in valore assoluto era lo stesso. Certo a Latina si poteva operare quasi alla luce del sole, nel senso che i problemi noi di destra li avevamo solo con le Forze dell'Ordine. Ma a Roma esistevano le zone assegnate alla destra, meglio conquistate dalla destra, e le zone di sinistra. E in altre città è stato, da destra, impossibile fare politica. Le nostre sezioni erano dei veri e propri avamposti con porte blindate e filo spinato. E io facevo la spola tra Roma e Latina. E ogni tanto qualcuno di Latina mi seguiva. Sì, testimone diretto. Di tante, troppe cose maledette, non formidabili. Volevo fare solo politica, non la guerra civile. Dopo il liceo all'Università era un problema entrare. Domandi a Guercio quando mi chiese di accompagnarlo a Valle Giulia. E la stessa cosa per la mia fidanzata di allora, anche lei a Valle Giulia. E per fare gli esami a Giurisprudenza dovetti entrare una volta alle 6,30 di mattina da Medicina Legale. Eppoi tanti di noi furono costretti a trasferirsi ad Urbino. Ma io volevo fare solo politica. Torno indietro al 1975. Piazza San Giovanni di Dio a Monteverde il trauma, quello vero. Comizio di Pino Rauti, militanti di tutte le sezioni di Roma. Sinistra ed estrema sinistra che vogliono impedire il comizio. Io stavo insieme ai miei amici della sezione Balduina, con caschi in testa e scudi di legno. Questo era il clima. Dicevo il trauma. Sì perchè per la prima volta ho sentito colpi di pistola sparati contro di noi. Finora lo scontro fisico era con le mani, anche con qualcosa di più. C'era quasi un'etica sullo scontro. Ma le pistole tra la folla no, era solo vigliaccheria. E purtroppo fu solo l'inizio. Ramelli moriva quell'anno. Ed altri di destra e di sinistra morirono dopo. Troppo giovani. Eravamo troppo giovani. Ed anche da noi, a Sezze, Di Rosa morì nello stesso clima. Non di confronto, ma di guerra civile. Avevamo solo 18, 19 anni, ma eravamo già dei veterani. Incredibile, assurdo. Se si legge un volantino con contenuti politici di quegli anni e togli le sigle, potresti scambiarlo di destra o di sinistra. Troppi morti giovani. Allora dicemmo basta, qualcuno doveva dirlo. E noi lo dicemmo per primi. Inventammo momenti comunitari come i Campi Hobbit, il Programma Domani, qui da noi a Borgo Bainsizza. Iniziammo un percorso che ci portò ad avvcinare gli "altri". Ma come ti avvicinavi con le idee, con la voglia di confronto, c'era sempre qualcosa a sinistra che ti ricacciava indietro. Pensi che anche in questo giorni alla conferenza di presentazione dell'ultimo libro del mio amico Pennacchi, ho sentito tracce di intolleranza. Purtroppo in Italia c'è stata una guerra civile. Purtroppo non terminata nel 1945. E ancora oggi di fronte ad una bara di un giovane milanese dei centri sociali, ho sentito in tv, ho letto sui giornali e sul sito dei no-global, Indymedia, solo parole di vendetta, di sangue, di voglia di altra morte. Pensi direttore, che quando un anno fa proposi a Cirilli l'opera sulla morte di Ramelli, la sentivo tremendamente attuale. Così come Guido Giraudo che scrisse per primo un libro sulla vicenda, così come il mio amico Paolo Bussagli di Firenze che ne volle fare un'opera teatrale. Il tutto affinchè giovani oggi non debbano più morire per colpa dell'intolleranza e della mancanza di rispetto l'uno dell'altro. Ma gli adulti di ieri e di oggi devono decidersi a chiudere la guerra civile. Spero che si apra un proficuo dibattito che coinvolga tutti, ma tutti di ieri e di oggi. Mai più violenza e morte tra i giovani, mai più. Ora chiudo. Ma solo per ora...ci sono molte cose da dire».

Ferdinando Parisella


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