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Latina. Le retribuzioni dei dipendenti pubblici. Domenico Cambareri: «Giungle selvagge e
promesse di riformismo tra codardia e modello europeo»
Il “lancio” di Televideo delle ore 16,03 di sabato sugli ultimi dati ISTAT relativi alle retribuzioni complessive dei dipendenti pubblici italiani contiene elementi a dir poco sconcertanti. Dice l’ISTAT che lo stipendio dei dipendenti pubblici è in media di 27.328 euro, e che l’aumento medio negli ultimi quattro anni è stato di circa 3000 euro, pari al 12,3% di aumento, a fronte di un’inflazione complessiva dell’8%. Queste cifre “medie”, apparentemente ad effetto, sono seguite da ulteriori per quanto minimi elementi indicativi, che possono aiutare a disaggregare le medie statistiche. Infatti, il lancio di Televideo conclude: hanno guadagnato di più i dipendenti di Previdenza ed Enti locali, i ministeriali hanno invece avuto aumenti addirittura al di sotto della soglia di inflazione ufficiale. Ufficiale e non reale, aggiungiamo noi. Per questo, chiediamo a Domenico Cambareri di esprimere un giudizio sulle reali condizioni dei pubblici dipendenti e sull’attuale politica retributiva del governo.
Sicuramente le cifre sono ad effetto, anche se comparandole alle retribuzioni della grande industria e di altri settori diventano spesso piccola cosa. Come sappiamo, le medie statistiche sono in grado di alterare, anche profondamente, i particolari della realtà che si intende rappresentare . E su questo giocano le lobby, i sindacati confederali, il trasformismo e purtroppo la stupida incapacità di questo governo.
Sì. La stupida incapacità di questo governo, se non proprio l’aperta, corriva collusione con gli apparati e con le scelte del cosiddetto “vecchio regime”. Il perché di questo giudizio netto è presto detto. Nell’articolazione specifica delle retribuzioni, troviamo non soltanto curve di rappresentazione grafica assolutamente disarmoniche, con i picchi retributivi dei dipendenti della previdenza, degli enti pubblici economici, delle regioni e degli enti locali, e con i collassi retributivi e di sussistenza di una cospicua parte dei funzionari ministeriali massacrati dalle riforme dei precedenti governi di sinistra, dei ministeriali nel loro complesso (almeno di quelli privi di voci accessorie redditizie), e non di meno, se non soprattutto, dei professori. Ad esempio, la cifra delle retribuzioni “medie” dei dipendenti pubblici italiani, corrisponde al reddito di un professore delle superiori prossimo alla pensione. Una forbice retributiva paradossale, basti pensare che i professori si addensano nelle corrispondenze retributive con i funzionari di livello più elevato. Peraltro, non bisogna dimenticare le percentuali di crescita delle retribuzioni dei magistrati e, con l’aggancio a costoro, dei parlamentari e di tutto il sottobosco del mondo politico e delle “alte” istituzioni. Non bisogna neppure dimenticare le retribuzioni del personale della RAI e della Banca d’Italia e persino dei bancari in generale, comunque per tanti motivi e ancora ad ogni buon conto enti pubblici e parapubblici.
La cosa scandalosa e inaudita sta tutta qui. Il governo Berlusconi aveva promesso equità retributive e armonia con gli andamenti europei. Sta accadendo tutto l’opposto. Questo è un governo parolaio e fifone, o forse soltanto inetto, che non ha il coraggio di riscrivere, ad esempio, la legge sulla dirigenza pubblica, apparentemente una legge ad alto tasso di “liberismo”, nella sostanza una legge da dirigismo democratico, secondo lo spirito e le finalità dei suoi padri “post”comunisti. Bassanini docet. Tanto meno ha il coraggio di scrivere una nuova legge sulla retribuzione dei magistrati. Tanto meno ancora ha il coraggio di scrivere una legge che richiami l’inquadramento dei professori delle scuole superiori con quello che è stato nella storia fascista e postfascista, fino agli anni sessanta, di questa categoria - categoria di alta professionalità a cui corrispondeva la carriera dirigenziale burocratica - ricollegandola direttamente all’aggancio all’ordinario universitario. Cosa che poi corrisponde, tradotta in soldini o in soldoni, alle retribuzioni dei professori di Spagna, Francia, Germania, Regno Unito. Per non parlare di quella dei Paesi Bassi. Si comprende l’accanimento comunista di allora e si comprendono le ragioni del clientelismo democristianodi allora nell’avere proletarizzato una delle categorie della borghesia italiana più importanti. Non si capisce invece come questo governo, peraltro assolutamente privo di idee e di preparazione specifica nel merito, scimmiotti stupidamente scriteriati criteri di ambito produttivo, o principi come quello della meritocrazia già da me e da altri amici più di un decennio addietro difesi ma che poi purtroppo sul piano attuativo diventano armi e mostri dalle mille teste gestiti in modo ancor più discrezionale e spudorato dagli apparati sindacali e burocratici. O, peggio ancora, idee portate avanti da un ex “liberal” postcomunista, oggi berlusconiano, Adornato, ex abrupto deputato, presidente di commissione parlamentare alla Camera, e, parrebbe, ideatore di classificazioni della burocratizzazione delle figure docenti (anche se dietro di lui vi erano e vi sono forse ancora esponenti della Gilda, organizzazione che mutilò ogni possibilità di riscatto dei professori delle superiori e delle medie inferiori nel passato decennio, travolgendo con la demagogia e l’imposizione del “ruolo unico docente” di fronte alle contrarietà delle assemblee nazionali Cobas, e di fronte alle previggenti indicazioni di altri, fra cui le mie, che avevo aperto la categoria dei professori all’alleanza con i maggiori ceti professionali privati costituenti la Confederquadri. Una vera rivoluzione ante litteram, stroncata dal silenzio imposto alla stampa e dall’immaturità di questa categoria sui propri diritti e sulla disconoscenza della sua storia). Men che mai questo governo può pensare di ricreare le corrispondenze fra le categorie del personale militare, docente, della magistratura e della burocrazia.
Ma senza debordare ulteriormente su questi riferimenti, torniamo al giudizio che sto esprimendo.
Questo è un governo che continua a gratificare clientelarmente, e quindi politicamente, le stesse platee, gli stessi soggetti, le stesse categorie di lavoratori pubblici foraggiati durante i decenni dissennati di governo democristiano e di sinistra. Ditemi se questa non è idiozia politica e dissennatezza morale!
D’altronde, se un ragioniere, per quanto professorone di economia, come il ministro del tesoro e del bilancio, raccolto per strada da Berlusconi per la sua diversa provenienza, agisce come i soliti noti nel far quadrare i conti, anche io riuscirei a fare così, e anche meglio. Salvaguardate tutte le giungle, salvaguardati i privilegi preesistenti, questo governo falsamente innovatore e codardo, cosa ha fatto per l’equità retributiva? Ha regalato al “comparto” Scuola il contratto più gradito alla CGIL. Ha mantenuto inalterata la prassi che ha anzi rafforzata della “contrattazione decentrata” rinvigorendo il ruolo dei sindacati confederali, Confsal incluso; ha privato non pochi lavoratori dei pochi soldi in più sul salario tabellare non abolendo o non riducendo drasticamente le voci dei progetti, delle discrezionalità di “valutazione” del dirigente, delle incentivazioni e delle produzioni collettive e individuali ed extra ulteriori di cui beneficia soltanto una percentuale contenuta di lavoratori, quella delle categorie privilegiate. Ha inoltre e soprattutto avallato l’esistenza dei “premi di produzione” degli enti locali, delle regioni e di altri organismi pubblici, attribuzioni che in cifre alterano completamente il quadro ufficiale delle retribuzioni contrattuali nazionali stipulate in sede ARAN. Ciò significa agire codardamente più che clientelarmente, stracciando pedissequamente, come i precedenti governi di sinistra - veri maestri del falso politico - l’accordo del luglio 1993. Infatti, questi premi di produzione, queste indennità, questi progetti, lo sottolineo, incrementano le retribuzioni reali con percentuali elevatissime, e anzi arrivano a raddoppiarle,come nel caso degli ex VIII livello, oggi livello “D”, delle regioni. A proposito di regioni, è bene ricordare che l’ex nono livello ministeriale nelle regioni non esiste: questa figura è già da anni nel ruolo dirigenziale. Il tutto alla faccia, ancora una volta, dell’equità retributiva. Pare proprio che questa federalizzazione stia solo servendo a spolpare ancora di più le “finanze” dei soggetti più deboli e ad accentuare le discrepanze e le ingiustizie. E di tutto questo non si deve incolpare sempre e soltanto la furbastra Lega, che spavaldamente rivendica ai suoi accoliti i suoi meriti.
Ma il quadro che ci viene a rappresentare è proprio così negativo? Non ci sono aspetti dell’azione di governo più degni di un giudizio più positivo? Eppure lei ha in più occasioni sottolineato il potenziale ruolo di trasformazione istituzionale, economico e sociale di questa coalizione al governo, anzi ne ha difeso il ruolo e il programma. Era molto fiducioso. Inoltre, perfino i radicali guardano con attenzione alla possibilità di entrare finalmente a far parte di questa coalizione.
Quanto ai radicali, è meglio che rimangano dove stanno, e che continuino a svolgere il difficile ma importante ruolo di promotori e di stimolatori in positivo, anche se non sempre in positivo, delle riforme del Paese. Il loro peso risulta maggiore e delineato a tutto tondo: all’interno della coalizione, invece, il loro ruolo non risulterebbe esaltato ma sicuramente depotenziato e al limite utilizzato solo come cornice di comodo, almeno oggi. Una diminutio che fa la pari con l’irrilevanza nel calderone del potere.
Sul giudizio complessivo sull’azione di governo, purtroppo, e sottolineo purtroppo con grande amarezza, no. Non voglio annoiare il lettore con affermazioni che possono sul momento risultare ripetute, anche perché ho avuto occasione di indicarle a volte in alcuni editoriali, ma qui è bene fare chiarezza in difesa della civiltà dell’informazione, in difesa dei diritti costituzionali, in difesa della dignità del lavoro. Non solo soltanto parolone. Questo è un governo che, come nel caso dei dirigenti scolastici o di tante altre coorti di dirigenti, dipendenti degli ex partiti, consulenti e riciclati, premia quasi tutti i quadri politici, ideologici, sindacali dell’opposizione e di quanti sono stati gli artefici del tracollo economico e sociale nazionale. Proprio a malincuore dico che questa tornata contrattuale pubblica ha visto e vede protagonista un sottosegretario della funzione pubblica sicuramente preparato e che aveva titoli ad essere impegnato nel governo, ex Dc e oggi in quota AN, che stimo molto e considero amico, Learco Saporito. Le cose tuttavia non sono cambiate. I lacciuoli dei ripatteggiamenti politico-sindacali e i ”fermi” sconsiderati del Tesoro imperano assieme al ‘continuiamo’. Questi sono i crudi fatti che il governo Berlusconi ci pone sotto gli occhi. La nostra è una fiducia molte volte tradita.
Queste anomalie, queste aporie, distonie e schizofrenie tutte italiane hanno trovato nuove stagioni ideali. Dispiace soltanto che Gianfranco Fini si stia lasciando utilizzare in una sovraesposizione politica estremamente dannosa, che non arreca ritorni positivi alla sua immagine e che dimostra la negligenza e l’impreparazione, se non la visione gravemente settoriale e conservatrice, di chi gli sta dietro.
Eppure, sfugge finora un criterio elementarissimo al quale tenere ferramente legato il quasi onnipotente ministro dell’economia, e quindi tutti i suoi centri di programmazione e definizione del DPF: gli stanziamenti relativi agli investimenti ad alta ricaduta tecnologica e alla ricerca scientifica, gli stanziamenti relativi all’ammodernamento dello strumento militare, gli stanziamenti relativi all’utilizzazione delle truppe e dei mezzi delle nostre forze armate in altre parti del mondo, gli stanziamenti relativi agli investimenti per le vie di comunicazioni marittime, ferroviarie e stradali, l’aggancio retributivo veloce e definitivo dei professori delle secondarie superiori e inferiori agli stipendi universitari e/o dei docenti dei Paesi fondatori dell’UE, il recupero retributivo dei funzionari ministeriali e pubblici economicamente declassati, l’accrescimento stipendiale complessivo dei dipendenti ministeriali privi di “premi” superiori al 5% della retribuzione tabellare della categoria, devono essere stornati dai calcoli iniziali con cui programmare e realizzare il contenimento della spesa pubblica e il bilancio definitivo del nuovo esercizio finanziario. Tutto ciò andrebbe conclusivamente accompagnato dal congelamento e dalla sterilizzazione degli eccessi dei privilegi, non appena essi comportano uno scostamento del più del 5% rispetto alle retribuzioni contrattuali nazionali. Soltanto per i dipendenti degli enti economici potrebbe essere consentita una tolleranza del 10%. Altrimenti, è meglio dire ad alta voce che questi contratti nazionali non sono solo una farsa ma sono morti da tempo, dal tempo del lontano avvento della sindacatocrazia oggi ancora imperante, di fronte a cui anche il bulldog Berlusca si piega come un cagnolino addomesticato. Ma ci saremmo aspettato tanto, tanto di diverso.
La farsa dei contratti collettivi di una democrazia compiuta: da decenni utilizzati per migliorare le condizioni retributive dei lavoratori, sono spesso serviti per comprimere e declassare professionalità, responsabilità, ruolo e stipendio di intere categorie di lavoratori fino a livelli paurosi e statisticamente irraffrontabili, ossia della compressione retributiva in termini reali di oltre il 100%. I contratti, dunque, come cieco strumento del potere.
In conclusione, ogni anno il ministro del tesoro di turno dice che tutto andrà in rovina se non si tagliano le spese dei dipendenti statali, o meglio, cosa che non dice, dei soliti dipendenti pubblici, e non di tutti.
In un Paese di socialismo reale quale è ancora per molti versi il nostro, altre regole elementarissime sono sempre state ignorate. Ad esempio, quella dello spalmare fra tutte le categorie dei dipendenti pubblici e perfino fra altri capitoli del bilancio le assunzioni sovradimensionate per “politiche sociali”, come nel caso dei maestri e dei poliziotti, e non gravando e dimezzando ai professionisti del loro comparto, professori e ufficiali di polizia, e poi a quello che sarebbe nel suo insieme un “organico funzionale”, le retribuzioni. E’ una violazione del buon senso, è una violazione del principio della coesione sociale, è una violazione della solidarietà sociale e del “welfare”.
Certo, non sto parlando di filosofia, ma di problemi molto crudi in cui la filosofia gira e rigira c’entra per molti motivi. Di fronte al silenzio degli economisti, dei politicanti, degli specialisti e dei consulenti in diritto del lavoro, dei sociologi, dei politologi e degli storici dell’età contemporanea ultima e dei filosofi marxisti ai quali stranamente sfuggono fattori e dati d’importanza socioeconomica così macroscopica relativi alle trasformazioni degli strati sociali, non c’è che ironicamente da ricordare, certo volutamente, due aneddoti della democrazia popolarclassista italiana. Agli inizi degli anni novanta, prima del blocco dei contratti pubblici, ai dipendenti della Banca d’Italia fu concesso un aumento contrattuale con una base di calcolo dell’inflazione che non poteva e non doveva essere applicata ai professori e al codazzo del comparto scuola che li sommerge. Certo, per gli stipendi più poveri, anche in una democrazia compiuta e ironicamente “compita” come quella italiana, il calcolo deve essere differente per quanto fuori legge: si va per “stati” sociali, e non per criteri di uguaglianza! Alla resa dei conti, ai prof. non fu fatto nessun contratto, ai dipendenti della Banca d’Italia, sì e - more solito - nonostante la crisi galoppante, ben lauto! Non molti mesi prima di questo fattaccio, con la prima guerra dell’Occidente all’Irak, il governo italiano finanziò l’intervento bellico sequestrando i circa quattromila miliardi del contratto dei docenti, cifra con cui si stava per ripristinare l’aggancio ai docenti universitari.
Questi due aneddoti non sono dedicati solo ai professori privi di coscienza professionale e di conoscenza del mondo in cui vivono: sono dedicati anche e soprattutto a tutti quei lavoratori pubblici e non pubblici senza voce, ai quali il gravame delle iniquità risulta non meno pesante economicamente e offensivo della loro dignità. Inoltre, non ho voluto ridurre, con la mia risposta, tutte le problematiche a quelle dei professori italiani, quanto utilizzare esemplarmente quelle di costoro - perché le più ampie e le più clamorose - in funzione di quelle dei lavoratori pubblici che per nulla rientrano nelle umoristiche medie statistiche del “magno io e non magni tu”. Ultima spes: che Berlusca non apprenda ancora dell’altro da D’Alema e Amato, che Tremonti non apprenda di peggio ancora da Spaventa e dagli altri predecessori.
Domenico Cambareri
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