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Latina. Mazzoni, oggi il Convegno. Fabrizio Ferracci risponde ad Antonio Pennacchi: «Ha parzialmente ragione. Il Futurismo fu un ulteriore arricchimento
della sua poetica. Ma la sua adesione fu totale»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Fabrizio Ferracci, presidente dell'Ordine degli
Ingegneri. Oggi un convegno su Angiolo Mazzoni del Grande. Quali sono i suoi legami
con la città? «Direi profondo. Ha lasciato sue tracce in tutta la provincia.
Pensiamo alle Poste di Latina, alla Stazione, alle Poste di Sabaudia. Anche se non
dimentichiamoci che la sua opera è in tutta Italia». In occasione del 70° di Fondazione
l'Ordine ha organizzato questo convegno e una mostra in suo onore...
«È un primo passo per una consapevolezza della nostra storia. Questa mostra soprattutto
è fatta per i giovani, per gli studenti per dare loro un senso di "identità". Per farli
entrare nello spirito di quell'epoca». Antonio Pennacchi, proprio su ParvapoliS, ha
anticipato alcuni brani del suo intervento che uscirà su "Limes". Mazzoni sarebbe tutto
tranne che un futurista... «Nelle linee pure e negli slanci troviamo una chiara ispirazione
futurista. E va ricordato che ai
tempi del Manifesto del Futurismo Mazzoni aveva già cominciato la sua attività
professionale. Poi ci sono state delle evoluzioni storiche. Ma lui ha sempre condiviso
la filosofia e il pensiero. Portà però chiaramente dentro di sé altri elementi.
Con molta accuratezza cerca la forma generale e poi ama approfondire il particolare.
Pennacchi ha ragione. Ha usato altri materiali. Ma ha coniugato la sua esperienza
professionale con l'idea a cui aderì». Il vero futurismo fu quello antecedente al 1918.
Sempre secondo Pennacchi quello che voi in qualche modo celebrate è un tardo futurismo
che futurismo quasi quasi non è nemmeno più. Nel 1932 il Futurismo è quello dell'Accademia
Italiana e il futurismo è in opposizione a tutto ciò che è accademico...
«Mazzoni ha aderito al Manifesto, che tra l'altro si può vedere nella nostra mostra.
Io ripeto che la sua adesione fu convinta. E ripeto che è altrettanto vero che portò
altri elementi che aveva attinto dalle sue esperienze precedenti. Io lo vedo come
un arricchimento della propria poetica».
Elisabetta Rizzo
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