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Gaeta. Termoinceneritore. Legambiente si schiera sul fronte del No: «Non ci facciamo ingannare da finte cautele». Ma il dibattito resta aperto

La Legambiente dice a chiare lettere No a un inceneritore nella nostra zona. «Non ci facciamo ingannare da slittamenti lessicali (termovalorizzatori) e da presunte cautele in merito a localizzazioni ed impatto ambientale. Quel che contestammo alla fine del 2001 quando l’allora assessore all’ambiente della Giunta Miele convocò gli amministratori del sudpontino per proporre la realizzazione di un impianto di termocombustione a maggior ragione contestiamo oggi. Le ragioni dell’ambiente non seguono logiche di appartenenza. Oltretutto il Piano di smaltimento rifiuti approvato della Regione Lazio, in data 10 luglio 2002, non prevede per la nostra zona alcun impianto di termocombustione. Siamo contrari all’impiego di questi impianti come soluzione allo smaltimento dei rifiuti perché ( da un rapporto di Greenpeace):
Pongono un rischio sanitario - Molti degli inquinanti emessi come le diossine e i furani sono composti cancerogeni e altamente tossici. L’esposizione al cadmio può provocare patologie polmonari ed indurre tumori. Il mercurio, sotto forma di vapore, è dannoso al sistema nervoso centrale ed i suoi composti inorganici agiscono anche a basse concentrazioni.
Pongono un rischio ambientale - Le sostanze contaminanti emesse da un inceneritore per via diretta o indiretta inquinano l’aria, il suolo e le falde acquifere. Nonostante i moderni sistemi di abbattimento degli inquinanti riescano a limitare le dispersioni atmosferiche, la natura della maggior parte degli inquinanti emessi è tale da porre problemi anche a bassa concentrazione. Inoltre la loro caratteristica di resistenza alla degradazione naturale ne determina un progressivo accumulo nell’ambiente.
Non eliminano il problema delle discariche - Nonostante la diminuzione di volume dei rifiuti prodotti, il destino delle ceneri e di altri rifiuti tossici prodotti da un inceneritore è comunque lo smaltimento in discarica per rifiuti speciali, più costose e pericolose.
Non servono a risolvere le emergenze - La costruzione di un impianto di incenerimento richiede diversi anni di lavoro (almeno 4-6 anni) e pertanto non può essere considerato una soluzione all’emergenza per i rifiuti.
Richiedono ingenti investimenti economici - Sono impianti altamente costosi e a bassa efficienza che necessitano di un apporto di rifiuti giornaliero e continuo, in netta opposizione ad ogni intervento di prevenzione della loro produzione e pericolosità, principi che sono alla base della gestione dei rifiuti dell’Unione europea.
Disincentivano la raccolta differenziata - Questo sistema di raccolta, che nella nostra zona rappresenta una percentuale irrisoria la cui crescita sarà fortemente penalizzata se la gestione dei rifiuti prenderà la via della combustione.
Non creano occupazione - La costruzione e l’esercizio di un impianto determina un livello occupazionale inferiore al personale impiegato nelle industrie del riciclaggio dei materiali pubbliche e private che potrebbe offrire dai 200.000 ai 400.000 posti di lavoro nell’Unione europea.
Non garantiscono un alto recupero energetico - Il risparmio di energia che si ottiene dal riciclare più volte un materiale o un bene di consumo è molto superiore all’energia prodotta dalla combustione dei rifiuti. La plastica, che rappresenta circa l’11% in peso dei rifiuti urbani, è l’unica frazione merceologica la cui combustione è più vantaggiosa del riciclaggio: ciò è dovuto al suo elevato potere calorifico (ottimo per il processo di incenerimento) e allo scarso valore commerciale della plastica riciclata (un materiale plastico riciclato, infatti, può essere utilizzato una sola volta ed esclusivamente in applicazioni minori, come l’arredo urbano, fibre tessili e materiali per l’edilizia).
I rifiuti sono una risorsa potenziale che deve essere riportata nel sistema economico. Riciclare e compostare i rifiuti è un approccio più sostenibile rispetto a quello dello smaltimento, può ridurre i costi di gestione e creare posti di lavoro.

Mauro Cascio


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