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Latina. No al Crocefisso. La Lou Salomè: «Non dimentichiamoci delle persecuzioni delle minoranze religiose da parte di governi democristiani»

La storica sentenza del Tribunale dell'Aquila e l'altrettanto storica ennesima sconfitta del clericalismo nostrano tra i tanti benefici effetti ha avuto anche quello di stimolare riflessioni e dibattiti. Non ci sono state solo le reazioni emotive delle santissime mamme di Ofena o le buffe reazioni di un'avvocatura di Stato che pur di lasciare tutto com'è è disposto a spogliare il crocefisso di ogni valenza spirituale e religiosa per catalogarlo come "fatto culturale", come la nazionale dell'82 o il presidente della Repubblica. Il mondo sano del laicismo italiano si è infatti ritrovato per una volta di nuovo unito. Anche solo per dire che l'Italia, storicamente, è tutto tranne che cattolica. Il Vaticano costituì sempre un "problema" per i nostri statisti da Cavour in poi. Un ostacolo per l'unità nazionale. La croce non fu solo il cruccio di Cavour, ma anche l'oggetto dell'aperta ostilità di Garibaldi, un simbolo da superare in nome di una "religione universale" che affratellasse gli uomini, nella parole di Giuseppe Mazzini. Senza considerare tutti gli altri eroi del risorgimento italiano. Che quella croce, oggi, sicuramente non rappresenta. Le parrocchiette che oggi, simpaticamente, alzano la voce dimenticano che i primi progetti di legge del neonato Stato prevedevano esplicitamente che l'educazione delle masse popolari dovesse essere sottratta alla chiesa cattolica, che bisognava liberare le masse dal catechismo, dall'ignoranza e dalla superstizione. La croce come "simbolo culturale" rappresenta anche Salvatore Morelli, il deputato che per primo presentò quella legge? Rappresenta Francesco Crispi? Le parrocchiette dimenticano che Crispi mandò a casa Leopoldo Torlonia, Sindaco di Roma, solo perché aveva mandato un telegramma di auguri al Papa. Rappresenta Saffi, Bovio, Aporti, Lemmi? Rappresenta gli italiani che a Campo de Fiori hanno voluto la statua a Giordano Bruno, come simbolo della Libertà e della Tolleranza? Il crocefisso rappresenta la "terza Roma" mazziniana? Se il cattolicume veniva considerato non solo estraneo ma decisamente "nemico" dell'Italia risorgimentale, va ricordato alle parrocchiette che i "cattolici" continuarono ad essere un "problema" per il nostro Stato, almeno fino all'avvento del Fascismo. Il crocefisso rappresenta anche il "Non expedit"? Le polemiche da quattro soldi delle ultime settimane sono servite in realtà a fare il punto. E a ricordare che il papa romano e i suoi (pochi) seguaci (si dichiara cattolico il 22% degli Italiani da un sondaggio Cirm) sono già stati bocciati dalla storia e spediti in soffitta già nel 1860. Ancor prima di essere definiticamente screditati dalla filosofia e dal mondo scientifico.
Sull'argomento interviene l'Associazione pontina Lou Salomè, ricordando qualcosa che comunemente è poco noto, vale a dire come la sottocultura cristiana istituzionalizzata abbia sempre perseguitato le minoranze religiose. Per esempio i Testimoni di Geova: «Nella seconda metà degli anni Cinquanta furono emesse due importanti sentenze. La prima riguardava la libertà di diffondere la propria fede. Una delle norme applicate arbitrariamente dalla polizia era l'articolo 113 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, che richiedeva la "licenza dell'autorità locale di pubblica sicurezza" per "distribuire o mettere in circolazione, in luogo pubblico o aperto al pubblico, scritti o disegni". Diversi testimoni erano stati imputati - anche se in seguito assolti - di aver distribuito pubblicazioni bibliche senza licenza. Alcuni giudici sollevarono la questione di legittimità costituzionale della norma. Fra le sentenze di rimessione alla Corte costituzionale, quattro riguardavano casi di testimoni di Geova. La Corte emanò la prima sentenza della sua storia e la rese nota il 14 giugno 1956. Essa prese in esame 30 delle centinaia di ordinanze di remissione, mentre sulle altre decise successivamente in modo conforme alla prima decisione. Questa sentenza, considerata storica dagli studiosi, non si limitò al controllo di legittimità della norma citata. Doveva innanzi tutto pronunciarsi su una questione fondamentale e cioè stabilire, una volta per tutte, se il suo potere di controllo si estendeva anche alle norme preesistenti alla Costituzione, oppure se doveva essere limitato a quelle emanate successivamente. Le gerarchie ecclesiastiche avevano da tempo mobilitato i giuristi cattolici affinché sostenessero l'incompetenza della Corte sulle leggi preesistenti. Ovviamente le gerarchie vaticane non volevano l'abrogazione della legislazione fascista col suo apparato di restrizioni che soffocavano il proselitismo delle minoranze religiose. Ma la Corte, attenendosi rigorosamente alla Costituzione, respinse tale tesi affermando un principio fondamentale e cioè che "la legge costituzionale, per la sua intrinseca natura nel sistema di Costituzione rigida, deve prevalere sulla legge ordinaria". Esaminando poi l'articolo 113 sopra menzionato, la Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale di varie disposizioni in esso contenute. Nel marzo del 1957 Pio XII, riferendosi a questa decisione, criticò "la pronunziata dichiarazione di illegittimità costituzionale di alcune precedenti norme". La seconda sentenza riguardava i Testimoni processati nel 1940 dal Tribunale Speciale. Dopo la caduta del fascismo molti cittadini condannati da quel famigerato Tribunale ottennero la revisione del processo e furono assolti. I Testimoni condannati sapevano di aver subito un'ingiustizia, quindi decisero di chiedere la revisione del processo soprattutto per difendere la reputazione della propria confessione. Il Tribunale Speciale fascista li aveva infatti definiti "un'associazione segreta mirante a fare propaganda per deprimere il sentimento nazionale e a compiere fatti diretti a mutare la forma di governo", nonché a perseguire "delittuose finalità". Di questo giudizio negativo, sebbene espresso dal regime totalitario, gli organi statali avrebbero potuto fare un uso strumentale per giustificare un atteggiamento di chiusura nei confronti dell'organizzazione dei Testimoni di Geova. Una revisione di quella sentenza sarebbe stata vantaggiosa per instaurare rapporti migliori con le autorità governative. L'istanza di revisione del processo fu discussa il 20 marzo 1957 davanti alla Corte d'appello dell' Aquila che decise di annullare le precedenti condanne riconoscendo, di conseguenza, che l'opera dei Testimoni di Geova non era né illegale né sovversiva. Col Concilio Vaticano Il, conclusosi nel 1965, e i mutamenti che implicò, la Chiesa - che già si avviava ad abbandonare almeno in parte precedenti modelli di intolleranza - volle dare di sé un'immagine più rispettosa delle diversità confessionali e della Ìibertà religiosa, come si rileva in alcuni documenti conciliari. Diminuì pertanto l'attrito fra il clero e le minoranze religiose: anche per i Testimoni di Geova, sebbene episodi di discriminazione religiosa contro di loro abbiano continuato a verificarsi, cominciò un periodo durante il quale la loro opera si è svolta liberamente e ha avuto una notevole espansione. Negli anni Settanta l'organizzazione dei Testimoni fu riconosciuta dallo Stato e negli anni Ottanta venne conferita la personalità guiridica al loro ente costituito in Italia». La rilevante raccolta di documenti di polizia riguardante i Testimoni ha consentito al Ministero dell'Interno di disporre di un'abbondante fonte di informazioni da cui è possibile rilevare che le numerose indagini sui Testimoni, a prescindere dalla lotta, peraltro da loro sostenuta legittimamente davanti alla magistratura, per sostenere i loro diritti di riunione e di proselitismo, non hanno fatto emergere alcunché di negativo circa i loro riti e il loro culto. Pertanto quel Ministero ha potuto compilare nel 1986 un rapporto favorevole al riconoscimento del loro ente confessionale, la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova, cosicché il Consiglio di Stato, nel suo parere, pure favorevole, al riconoscimento stesso, è stato in grado di affermare, riferendosi alla relazione del Ministero: "Che [...] il culto dei Testimoni di Geova sia di quelli "ammessi" non può certo revocarsi in dubbio; basterebbe a questo scopo ricordare che tale confessione opera in Italia da molti anni senza aver dato luogo a rilievi di sorta da parte dell' Amministrazione"».

Mauro Cascio


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