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Latina. La sconfitta delle idee. Marcello Veneziani: «La perdita
delle idee non è una crescità della libertà, ma uno scatenamento
della libertà che produce il suo esatto contrario: la barbarie, la schiavitù nel meccanicismo»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Marcello Veneziani.
Nel suo ultimo libro, "La sconfitta delle idee",
lei sostiene la disfatta di Platone, la disfatta di quelle idee
che una volta animavano popoli ed individui sostituite oggi
dal dominio assoluto del mercato...
«Sì, una libertà assoluta che rischia di mordersi la coda.
Può cioè diventare una libertà contro l'uomo. Quando concepiamo
qualcosa che prevede la fuga dalle idee, stiamo in realtà
scappando dalla nostra attività principale. Progettare un avvenire
e dare uno scopo, un orientamento alla propria vita. La perdita
delle idee non è una crescità della libertà, ma uno scatenamento
della libertà che produce il suo contrario: la barbarie,
la schiavitù nel meccanicismo». Rudolf Steiner
sosteneva che un "uomo" è per definizione uno "spirito libero"...
«Una definizione compatibile con quanto stavano dicendo prima.
Lo spirito libero presuppone il libero percorso delle idee.
Lì dove le idee vengono accantonate per dare retta al puro criterio del piacere,
del mercato, dell'ascolto la libertà è sottomessa ai meccanismi
automatici del vivere e non alle scelte
deliberate del pensare». Cosa è rimasto delle vecchie idee? Lei nel
libro parla di sagoma, di guscio, delle idee come icone, come feticci estromessi
e messi al bando... «Sì, nella migliore delle ipotesi sono archeologia,
cioè una sorta di cornice residuale che ci serve per dare un nome al passato.
Nella peggiore non hanno nessun significato, senza respiro, anima: dei cadaveri».
Il pensiero caratterizza la forza di un individuo. Oggi prevale invece
l'apparenza, l'istinto e l'istante? «Pensiamo ai processi dell'economia.
Il denaro è diventato invisibile. C'è la scomparsa della dimensione della vita, oltretutto».
Lei parla però di "sconfitta" delle idee, non di "morte".
Che importanza ha un recupero critico della cultura e della tradizione?
«Io parlerei di cultura della tradizione. Non la riscoperta di ciò che è stato
ma di ciò che è. Tradizione è trasmissione. La Tradizione agisce nella sfida
dell'azione concreta, non solo nelle sfere del sapere esoterico.
Non è repertorio di memorie, la Tradizione, non è necrologia. Ma presenza viva».
Gli intellettuali attuali potrebbero considerarsi collaborazionisti
del nichilismo? «Lo dico anche nel libro. Io penso proprio di sì.
La loro funzione è di demolire ogni traccia delle idee più che di
stimolare l'appetito. Gli intellettuali non hanno una ragion d'essere».
Elisabetta Rizzo
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