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Latina. Lutto nazionale, il giorno prima. L'Italia tra obblighi e contraddizioni. Domenico Cambareri: «Bisogna
lavorare sulla credibilità»
I luttuosi eventi internazionali che ci hanno direttamente colpiti non possono incidere
sul piano emozionale e oltre esso in relazione a quanto qui osserviamo e proponiamo.
Il doloroso evento semmai rafforza l'esigenza di avere punti fermi, gambe salde, obiettivi
definiti, strumenti adeguati, decisioni coerenti e perseveranti.
I grandi passi fatti per dotare l'Unione Europea di una Convenzione e, quindi, di una sua
Costituzione e i collaterali impegni transatlantici per garantire la "certezza" e rafforzare
la solidarietà della NATO e le sue concrete capacità politiche, operative e di "proiezione"
al di fuori dalle aree direttamente coperte dall'Alleanza sono gli aspetti salienti del 2003.
Questi due aspetti vengono visti e anche percepiti però in maniera difforme all'interno
dell'amministrazione americana quanto delle cancellerie europee. Vero è che è difficile
rendere simmetriche se non improprio e quindi impossibile in tutto e per tutto le due
organizzazioni, vero è che aspetti importanti della vita di esse risultano in grado di
ingenerare costanti sovrapposizioni o attriti, vero ancora è che interessi ed esigenze
nazionali degli Stati nazionali sono ancora non in tutto coincidenti in ambito europeo.
Vero e ancora più essenziale è semmai il fatto che l'Europa non ha bisogno di due diverse
garanzie primarie, quanto di una sua unica esclusiva garanzia primaria, quella appunto
di una Costituzione dell'Unione, e, quindi, un suo definitivo e unitario ruolo in politica
estera e di difesa; e di una garanzia privilegiata, quella appunto transatlantica,
rappresentata dalla Nato, cioè dall'accordo sulla comunanza degli obiettivi e delle
strategie complessive di USA, Europa e Canada.
Se la questione politica principe, che oggi pare essere una dramatis quaestio soprattutto
fra Londra, Parigi e Berlino, verrà posta in questi termini, essa sarà in grado di superare
le diverse preoccupazioni e le diverse sensibilità. Su tutto questo, se nazioni come
l'Italia e la Spagna, che pare vogliano ancora giuocare un comodo ruolo di contorno nella
"mediazione filoamericana", si decidono apertamente e conclusivamente in favore di una
definitiva e assolutamente autonoma fisionomia europea, non potranno che esemplificare
la risoluzione della questione così da rendere Londra più duttile e disposta anch'essa
alla definitiva, positiva, storica chiusura. Solo in tal modo è affrontabile il vero
nodo dell'Unione. La garanzia privilegiata ed esclusiva dell'alleanza con gli USA non
può che essere immediatamente confermata, riconfermata, ma non posta come elemento
paritario, centrale, con quello proprio della vita e dei destini dell'Unione Europea.
Sarebbe questa una incongruenza, una interferenza, una contraddizione costituzionale e
tematica, storica e di prospettiva. Terzo dato, assolutamente cogente al primo e
sicuramente interagente ma non simmetrico con il secondo, è quello del ruolo della Russia,
in base allo sviluppo del processo di europeizzazione di questa nazione e
delle decisioni ultime della sua classe politica in funzione del suo conclusivo
approdo nell'Unione Europea.
Tuttavia, mentre queste problematiche di fondo sugli assetti dell'Unione e sugli equilibri
fra alleati e a livello planetario richiamano, giustamente, l'attenzione di tutti, anche
altre questioni per noi italiani non meno importanti devono richiamare l'attenzione
dell'opinione pubblica nazionale.
Il ruolo della politica estera italiana è da sempre incerto e contraddittorio,
massimamente contraddittorio per il fatto stesso che - ponendosi l'Italia e volendo
porsi nel novero delle maggiori potenze del mondo, al contempo si sia definita
programmaticamente e voglia ancora definirsi come "potenza media regionale" nei termini
della strategia e delle capacità di proiezione di forza e di assunzione diretta di
responsabilità - rifiuta di assumere e di accollarsi gli oneri che le conseguono direttamente.
Cioè per il ruolo effettivo esercitato a livello mediterraneo e internazionale dalla
sua economia, dalla sua posizione geopolitica e dal suo grado di attrazione di
interessi progetti amicizie e collaborazioni. Esso deve trovare nuovo e definitivo,
storico sbocco nel superamento di questo inaccettabile errore politico di tutti i
governi e parlamenti succedutisi a partire dagli anni sessanta, anni di definitiva
emancipazione politica dagli esiti del secondo dopoguerra e di grande affermazione
dell'Italia nel novero delle maggiori potenze. Errore che risulta essere una vera
costante e una vera bestemmia e un tradimento della realtà politica internazionale.
La posizione italiana è molto debole all'interno dei fori europei quanto di quelli
extraeuropei e a nulla valgono i maquillage, se non per produrre effetti di lieve
entità e di breve durata. Essa risulta debole per motivi intrinseci che sono da riportare
a scelte negative in tema di politica generale e interna - di equilibrio da
"guerra fredda" - ancora vigenti e impliciti, come con quanto su enunciato e che non sono
stati ancora investiti dall'esigenza di ristrutturazione dei bilanci e degli investimenti
pubblici. La subalternità delle esigenze e scelte oggettivamente prioritarie fa quindi
ancora pagare un prezzo non indifferente al ruolo e al peso effettivo dell'Italia nella
scena dell'Unione e mondiale. È per questo che il semestre di presidenza italiana non
poteva e non può che risultare sbiadito. Eppure, oggi la nostra nazione annovera capitani
d'imprese e industrie che sono il fiore all'occhiello per la capacità di intrapendenza,
di concorrenza, di promozione e di innovazione, al punto che - nonostante le incertezze
e le inquietudini politiche e perfino certi sintomi di arretramento delle strategie
politiche dell'esecutivo - riescono a inserire le società di cui sono espressione
in tutte le operazioni finanziario-industriali più pregiate dei grandi gruppi europei e
occidentali.
Detto in parole immediate, semplici, il problema consiste in quale ruolo l'Italia intende
attribuirsi nei prossimi anni e decenni. Essa aspira a una co-primariertà assieme alla
Germania, alla Francia e al Regno Unito e getta sul tavolo del costituendo esercito
europeo una quantità di cifre per uomini e mezzi che pare di tutto rispetto. Ma dietro
la facciata delle percentuali si cela la fragilità delle condizioni effettiva e di
fondo della politica strategica - delle risorse finanziarie, delle dimensioni degli
investimenti, della capacità delle industrie, del ruolo e della potenza dello strumento
bellico. Si vuole contare quanto gli altri tre grandi, ma si mette sul piatto della
bilancia un concorso qualitativo e quantitativo (reale e non addomesticato) di un quarto.
Questi dati possono essere condensati, sotto tutti i punti di vista, ed essere
direttamente percepibili per chiunque, con il seguente esempio. Alla fine di
questo decennio, il Regno Unito armerà due nuove portaerei convenzionali di
circa sessantamila tonnellate. L'Italia, nello stesso periodo, avrà in linea
una nuova portaerei leggera STO/VL di ventiseimila tonnellate.
Cosa intende fare dunque l'Italia a brevissimo e breve termine per invertire la logica
degli investimenti e dei contributi in tema di politica di difesa e di sicurezza nazionale
e collettiva? Come e quando vuole avviare il rilancio delle risorse nel campo delle
alte tecnologie, campo che costituisce la risposta più avanzata per una sicura politica
del lavoro, dei redditi e delle ricadute positive a medio termine nel campo delle
esportazioni pregiate e dell'autosufficienza produttiva? Se la finanziaria che sta
per essere approvata in questi giorni non ha affrontato questi quesiti e se essa risponde
in gran parte alle vecchie logiche che in nulla portano a una ristrutturazione di fondo
del bilancio statale, quando si vorrà iniziare? E' bene quindi che questo governo perciò
inizi a dare, prima dello scadere della legislatura, risposte chiare e univoche a quesiti
estremamente semplici. Con i fatti.
Fra i complessi indutriali nazionali, quello della Finmeccanica oggi è fra i più dinamici
e competitivi a livello mondiale. Le recenti ristrutturazioni del gruppo, che comprende
in particolare Oto-Breda, Alenia, Ansaldo, Agusta (in alleanza paritaria con l'inglese
Westland), Wass, Elsag, Ansaldo, Meteor e tante altre società ancora e le ultime
acquisizioni (come la divisione militare della Marconi inglese, oggi Marconi-Selenia,
nomi storici nella storia dell'industria aerospaziale italiana, e Telespazio) ne fanno
un cartello europeo di tutto rispetto. Esso è tuttavia lontano, nelle dimensioni
produttive globali, degli investimenti e dei dipendenti da quelli inglesi, francesi,
tedeschi ai quali risulta quasi strettamente collegato in tutti gli ambiti progettuali
e produttivi. Progetta e produce sottomarini con i tedeschi, aerei da intercettazione
con inglesi spagnoli e tedeschi, elicotteri con gli inglesi e con gli americani,
incrociatori leggeri siluri missili e radar con francesi e inglesi, ulteriori aerei
(come il rivoluzionario successore dell'Harrier) satelliti missili e artiglierie
un po' con tutti, olandesi e statunitensi in testa, nuovi missili di difesa
antimissile a largo raggio con tedeschi e americani. Ma le dimensioni dell'apparato
produttivo sono dimensionate per soddisfare una domanda interna quantitativamente
insufficiente, quindi non in grado di renderla, nei ritmi nelle percentuali e
nel valore assoluto della produzione, effettivamente competitiva con maggiori
associate europee.
Gli obblighi complessivi a cui l'Italia si chiama liberamente nei contesti comunitari
e delle alleanze lasciano dunque ancora aperte tutte queste contraddizioni.
Ma una seria politica che intende convincere sulla nostra credibilità e che
intende anche difendere e sviluppare il lavoro e la produzione non può continuare
a vivere ad oltranza in simili contraddizioni e in così palesi alienazioni
della cura e della difesa dell'interesse nazionali di oggi e delle future generazioni.
Domenico Cambareri
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