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Latina. Letterature. Come rendere omaggio ad una pazza poetessa che non si sa neppure chi sia, neppure
si conosce. I sogni di Maria Marchesi
Come rendere onore ad una pazza poetessa che io non so neppur chi sia e neppur conosco?
Pazza di cosa? Poetessa di cui leggo i segni che ha vissuto col mondo: ha vissuto nel mondo,
si è sciolta nel mondo? Innocenza pericolosa, liminale subito smarrita che sfiora il
ritorno all'Eden e travolge lo sguardo, gli schemi e la mente.
Poeti non leggo, poeti non amo, aborrisco canti e carmi nel marcio appassito del
lauro sempre fuori tempo nella comoda moda esangue di verseggiatori che nulla sanno
del mondo e nulla per esso annunciano e pure cercano onori. Come rendere onore a una
donna che lambisce i ghirigori celesti e di dementi livori e sconfina nell'innocenza e
nel sogno di bimba che confonde i lividi e i pugni in pancia con i panspermata del
mondo? Quale mantica feroce t'aiuta nel verbo e nel verso ti piaga? Cosa mai ha fatto
per ambire al fare del dire e coniugare nell'animo alfine sopravanzanti struggenti
esplosioni che sbriciolano cuore e carni e sbrindellano e srotolano neuroni e spiriti
fin nel sottile centro dell'inferno? Fu quando apersi gli occhi e vidi l'alba / e conobbi
il principio dell'azione / che vidi il mio corpo in agonia / e l'anima separata dai miei occhi.
Hai forse spaesato stranito incantato te stessa, ti sei incontrata da sola a sola
come strega indovina vestale e pizia? Quali caduecei serpi erbe specchi antri e fumi
sono fra i tuoi strumenti? Non hai emulato Circe ma, folle, Apollo.
L'anima s'è occultata negli escrementi / e tossisce. Fu lui o mia madre / a tessermi
il bavaglio che ora spampina / i gridi delle lordure accumulate? M'hanno tolto lo
specchio per evitare / che gli occhi negli occhi / trovassero una misura. Ma come
cotanto può da sola la femmina, figlia della Diade, riflettere sguardo dei propri
occhi senza volgerli prima per prece e difesa ad Atena? Triangolo rovesciato, ventre,
pube: è per questo che il guado è posto di traverso, sempre così sbagliato nell'uso per
se stesso e nell'uso per il fine. Come il verso senza dapprima riti apotropaici? Non puoi
rimanere d'Astarte seguace, se non ierodula, non puoi guardare il cielo e il sole che
ancora per Zeus reggono i nostri occhi con verginea Atena, non puoi ingoiare falde
guzze di cielo. Con il verso e dopo il verso, lande desolate e deserti bianchi che s
corrono nelle vene e nel sangue con medicina che cura e distrugge, nel sempre rinnovato
annuncio d'inverno a cui pur mai ti sei piegata.. Ah, l'amore del verso!
Diceva Pound: song…a song…/…E sia il canto ma fuori / dal mio cervello mortificato /
dai miei occhi ciechi da millenni. Pazza mai vinta da pazzia, d'insania colpita, a
demenza sospinta, nelle consumate libidini del sesso per cui la luce di Selene
scorre nel fluire del seme dentro il grembo / vasto imbuto la mia vagina ingorda
nell'ininterrotto creare del mondo, o anche furore frenesia delirio, come quando
tutto frana in un'abulica samba? E queste altre metamorfosi e mimesi del tuo
conturbato animo d'amore non placato? Il punto oscuro dell'assenza è torre /
che svetta nei nascondigli più segreti…quell'assenza mi trangugiava e s'opponeva al dio /
che aveva su me di potere estremo.
Dannato il cigno che si veste d'ansia / e vende l'anima al cerchio del risaputo. /
Il cronista di me fui io stessa / e blateravo di catene e cifre. / Leggevo Kafka,
mi tagliai le vene.
Non mi importa cosa scrivono gli altri, poco è vero di tutto questo, salvo che tu sfuggi
ai rabdomanti, anche se li cercavi e li inseguivi nell'ambire umano d'editore critico
torchio e cartainchiostro. Oggi vecchia ti trovi, ma non giuochi più. Spero che i tuoi
giorni siano non ancora un buoi errare / tra funeste stazioni diroccate /…ricordi di
stelle cadute nelle pozzanghere. Conserva, conserva con forza invece la traccia / dei
coiti del cuore in fuga per sentieri / che hanno l'amaro della santità anche quando
l'elettrochoc lardella il mio cervello. Ricorda sempre quanto valse per te là dove
nessuno poté esserti d'aiuto, sola, completamente sola nel raggelante vuoto umano, il
non aver mai ceduto del tutto. Ma attenta che adesso non tradiscano la lettura
dell'anima e non tradiscano l'incanto doloroso del verso, che non lo sottraggano
allo strazio del concentrato perdurante conato del mondo che hai vissuto troppo
insieme come figlia come amante come madre di cose futili e inutili, esistenti essenti
che spalancano le porte alle dimensioni dell'abisso. La brama tumultuosa del vivere
non eternizza l'esistere, è panvitalismo che travolge e inabissa oltre le origini
dell'archetipo, anima e cerebro, e rigetta al mondo …E io vidi che la poesia / era
una gatta in calore, / e la vita / reminiscenza e disastri. Tu sei diventata il niente /
che vive ai margini dei sogni e incarta / libellule.
Stavo giorni e giorni / alla finestra ad ascoltare il canto / delle perdite, a fugare le
malie degli abissi. Se caddi è casuale, / perché inciampai nei virgulti di un'assenza /
così immensa e bugiarda che mi sospinse al dolo. Dove si ferma l'esistenza, a quale porta
smarrita di essa chiedi la via? E dove tu carne di donna che brama e vuole ad altri
donare il possesso del proprio corpo e del cuore elevi il carme, o dopo quale estasi
divina o rapimento d'innumeri amplessi questo agogni e come tutt'insieme chiudere
nel tuo petto e nel tuo utero? E' sempre il ventre che torna e scoppia, e ti vedi
il seno che dispensa avvizzito eros da orli davanzali balconi di pietra. I luttuosi
avamposti del disastro…Umanità straziata, quanto buio ho mangiato.
Non m'importa che scrivono quelli che neppur lambiscono la disidratata polvere
dei tuoi sinuosi e perdenti intrecci. Alambicchi e labirinti del capriccio
malvagio che s'avventurò per strade impervie. Sfrontata spigolosa peccatrice
amante, insicuro magnete d'insidie che vivi e paghi il commercio sacro e
vieto d'intuire e unire in carne e verbo umano il mondo, figlia e madre
dell'abulia della luce nella stanza, nel giuoco delle parti ti sei confusa
e ancora dici che sei una fata: non vedi? Ti tocco / con il mio seno e fiorisce la luna.
Silente esplodente vacca di pazzia pazza, spuria Stimula che con suono e falce di bronzo
unisci l' immagine di danzatrice di Kali che volteggia intorno con le tue ossa al collo.
Persefone e Moira della nostra natura che anteponi a noi i tuoi occhi nei tuoi occhi e
aruspice nel tuo sangue al latrare dei cani nutriti nelle tue viscere dai vita nel
tuo disperso destino. Iniussa ultronea creatio vissuta e vivente due volte dal
fato senza luce nel cuore e senza gioia nelle viscere,
Ocno con te sempre intreccia la corda e tu per tanto ora misera sbattuta ti dibatti
in curative celle di morte? Quali dee e quanti dee ti hanno fatto così soffrire?
O l'irrompere evocato di lemuri dispersi fra le inebrianti natiche della puledra?
Non solo, non soltanto le buie violenze prima e dopo ogni scorreggia di Satana: Ero
un fiore delicato / e hanno voluto sciuparmi / buttarmi nel peccato.
Cosa tanto hai osato nell'intreccio delle braccia del contorto candelabro? Quali
amplessi e quali lividi senza trasognanti lunazioni e lontano da ogni Pleiade? Equorea
vagina nel distillato di versi e amplessi, scaturigine sempre di iniussa ultronea creatio,
dal ragazzo che rifiuta i tuoi baci e mai Carpo per te hai incontrato - è questo
il fiele che ha corroso le colonne del cielo - ragazzo che come l'altro mai t'ha soccorso,
oggidì metti alle spalle il singhiozzo che è ricamo oltre le sozzure, e se i tuoi
occhi sperare più amore di uomo non possono, ridenti almeno siano nel ritrovato
amore della vita non più grama che ti resta e che col tuo verso è volato a noi,
tutto accolto. Ecco, come renderti onore.
Maria Marchesi, "L'occhio dell'ala", con prefazione di Giuseppe Mannino e postfazione di
Andrea Velardi, pp.159, Lepisma ed., Roma 2003.
Domenico Cambareri
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