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Latina. La sinistra va alla Guerra. Gavino Angius: «La scelta di combattere il terrorismo non contraddice i nostri valori e i nostri princìpi»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Gavino Angius, presidente dei Senatori DS. Gli attentati terroristici della cui violenza anche solo informativa siamo vittime confuse, passive, sono sintomo di uno scontro tra civiltà o rappresentano il lavoro di estremisti con una precisa agenda politica? «Non ho dubbi. Siamo di fronte ad una iniziativa politica per quanto aberrante, terribile, devastante. Ma la Civiltà non c'entra nulla. Così come non c'entra nulla le religioni. Se dovessimo accettare la teoria dello scontro tra integralismi religiosi, noi chi rappresentiamo? L'integralismo cattolico? Faremmo oltretutto il gioco di Bin Laden. Siamo chiamati a riflettere su di noi, sull'Oriente come sull'Occidente; a riflettere sui nostri errori passati, che la storia ci ha lasciato per cercare di non commetterli di nuovo; perché noi, la comunità internazionale, dobbiamo agire per fare in modo che altri Bin Laden non sorgano, perché quella è oggi la rappresentazione fisica anche del fallimento di nostre passate politiche. Quanti errori sono stati compiuti, da quali interessi siamo stati mossi noi, grandi democrazie, noi, ricchi della terra, per aver contribuito a generare una così sconvolgente mostruosità e lasciar marcire quei giacimenti di odio. Non possiamo sbagliare di fronte alla sfida globale del terrorismo internazionale. Ecco perché individuare, isolare, colpire le centrali del terrorismo è un dovere; ma vanno colpite non solo con le armi: vanno colpite con la politica, l'economia, la finanza, la diplomazia, la cultura, con un radicale ripensamento del nostro modo di essere e di collocarci in un mondo radicalmente cambiato». Lei in passato si è schierato contro il "pacifismo" inutile e chiassoso, il vero sconfitto di questa guerra. In un discorso al senato lei ebbe a dire: «Il regime protegge, garantisce, offre coperture, mezzi, strumenti, armi, spazio fisico ai terroristi che minacciano le grandi democrazie. La scelta di combattere il terrorismo non contraddice affatto i nostri valori e i nostri princìpi - quelli della stragrande maggioranza degli italiani - ancorati al valore della pace e del pacifismo. Essi restano tutti intatti nella loro forza e devono continuare a rimanere elementi fondanti sia delle relazioni internazionali, sia della formazione di ogni coscienza moderna. Ma se non vogliamo che restino astrattamente validi e confinati in una generica espressione morale, dobbiamo ancorarli ad una ferma, decisa iniziativa politica. Se il pacifismo non si misura, anche in questi momenti difficili, con questi problemi, finisce per diventare un sentimento nobile ma non spendibile nella concretezza dei problemi di oggi, nelle risposte che siamo chiamati a dare ad Occidente come ad Oriente. La neutralità non è di ora». Oggi però lei ha un po' cambiato idea. E dice che questa guerra voi non la volevate. Si raddrizzano le opinioni a seconda di come vanno i fatti? «Vedete, non è un caso che oggi il terrorismo colpisca un Paese moderato come la Turchia. Lo colpisce non perché islamico ma perché moderato. Allora noi dobbiamo avere l'intelligenza politica di costruire davvero una grande alleanza ed isolare Al Qaeda. Ma per far questo non si può pensare di fare una guerra, pretendere di fare la pace e contemporaneamente dire di contrastare il terrorismo. Il progetto di Bush e Blair è disastroso». Di fatto però c'è stato un effetto immediato. La caduta di una dittatura... «Giustissimo. Però bisogna domandarsi se sarà un fatto positivo o meno. Oggi nemmeno si sa come uscirne dall'Iraq. Ci si è infilati in un tunnel. Oltretutto non si può dire a un Paese: vi portiamo la libertà e poi lo si occupa militarmente». Ma è proprio questo che si rinfaccia ad una certa sinistra. Quello di aver riscaldato la minestra di un antiamericanismo viscerale e di strumentalizzare quanto è successo. Lei non trova colpevole che la sinistra parli ancora di "occupazione militare" o di "imperialismo americano"? Gli Stati Uniti stavano provando ad esportare la Democrazia... «Ammettiamo che l'intento fosse giusto e nobile: libertà e democrazia in Iraq. Il tutto è avvenuto senza il rispetto del ruolo dell'Onu». Un piccolo sgarro morale, perché formalmente in termini di diritto internazionale l'azione degli Usa era legittima. Non è un po' troppo per una campagna di demonizzazione degli Stati Uniti? «Guardate, intanto in Iraq si continua a morire. Il mondo non può campare con questa angoscia. È evidente che c'è qualcosa che noi abbiamo fatto che non funziona. E la responsabilità non è solo del terrorismo. Dobbiamo porci la domanda se quello che noi occidentali abbiamo fatto in quest'ultimo anno sia stato giusto o no. Ed io penso di no. E lo dico senza polemica ma in modo fermo e deciso. Quando il mondo arriva sull'orlo del precipizio, gli Stati Uniti e i paesi europei, quelli che dovrebbero essere modelli di libertà e giustizia, quelli che dovrebbero essere i più bravi di tutti dovrebbero essere la luce, il faro. Oggi fare qualche passo indietro è saggio». Spesso si fa fatica – da parte di chi fa informazione, sia a livello locale come tentiamo di fare noi, che, immaginiamo, a livello nazionale – a parlare della situazione in medioriente senza specificare bene e con chiarezza che abbiamo a che fare con una democrazia che prova a difendersi, Israele, contro il terrorismo arabo-palestinese. Lei prima ha fatto riferimento all'Islam moderato. Ma esiste? «Sicuramente sì. E ho fatto l'esempio della Turchia, che è un paese mussulmano, ma laico. E tanti altri esempi si potrebbero fare. Pensiamo al Marocco, all'Egitto. O alla Giordania».

Elisabetta Rizzo

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