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Roma. La laicità indispensabile. Valerio Pocar: «Il privilegio accordato ad una sola fede genera puntualmente legittimi conflitti, pericolose tensioni»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Valerio Pocar, docente di
Sociologia del Diritto dell' Università degli Studi Milano-Bicocca nonché
presidente della Consulta di Bioetica.
«La laicità indispensabile», un convegno dell'UAAR che ha saputo interessare
centinaia di persone. Quali ragioni vi hanno spinto a trattare un tema
così delicato? «La laicità è il fondamento della libertà di tutti e della parità
di ogni opinione. Tutte le opinioni sono rispettabili e devono essere rispettate.
L'Unione Europea come è noto è prossima all'adozione della sua prima Costituzione,
il cui testo provvisorio lascia invariato il regime di privilegio di cui godono
le religioni in alcuni paesi europei. Obiettivo del convegno è dimostrare
che la legittimazione dello "status previsto nelle legislazioni nazionali
per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli stati membri" contenuta
nell'articolo 51, viola il principio di uguaglianza di tutti i cittadini (articolo 44)
e discrimina coloro che appartengono ad altre religioni o non ne professano alcuna
(oltre alle distinzioni tra anglicani, luterani, calvinisti, ortodossi, cattolici,
evangelici, valdesi solo per rimanere all'interno della galassia di ispirazione
cristiana c'è da considerare che oltre la metà degli europei si dichiara addirittura
non credente). In tal modo vengono creati i presupposti per nuovi conflitti e tensioni
sociali, anziché promuovere la coesione e costruire quella "società fondata
sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla
non discriminazione" descritta dall'articolo 2. Dunque per noi non ci deve
essere nessuna discriminazione e nessun privilegio. Queste associazioni religiose
hanno spesso la tendenza, pensiamo alla chiesa di Roma per esempio, a volersi
porre come referente istituzionale o come intermediario dei suoi aderenti.
Questo non è accettabile perché lo Stato deve rapportarsi al cittadino, senza
intermediari di alcun tipo soprattutto se, come il caso della religione cattolica,
sono, per statuto e per storia, profondamenti antidemocratici».
Quindi non ci deve essere nessun riconoscimento? «Ognuno è libero di credere quello che
vuole. È libero persino di affermare una "fede"».
In questo rientra anche il discorso del divieto di esporre il crocefisso nelle scuole
o negli uffici pubblici? «Personalmente è un argomento che non mi appassiona più
di tanto. Diciamo che più che altro è una questione di principio. Al laico o all'ateo
il crocefisso non interessa affatto. Io mi pongo
nella situazione di chi invece ha una fede diversa. Cosa può pensare un imputato
di fede islamica che vede un crocefisso in un'aula di tribunale? Penserà
che il giudice non sia equo nei suoi confronti. Sbaglierà nel pensarlo, io ho
piena fiducia nella Magistratura, ma avrà il senso che questo Stato non è equo
nei suoi confronti. E questo è profondamente errato, oltre ad essere pericoloso, in
una società che è di fatto multietnica e deve imparare a rispettare tutte le molteplicità».
Andrea Apruzzese
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