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Roma. La laicità indispensabile. Piero Bellini: «Non si può essere intolleranti nemmeno con l'intollerenza. Si rischia
una spirale di violenza»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Piero Bellini, professore
emerito di Storia del Diritto Canonico all'Università "La Sapienza" di Roma.
John Locke è considerato il papà del concetto di Tolleranza. Per convivere
da cittadini del mondo, scrisse nel 1685 "L'Epistula de Tolerantia". Il filosofo
inglese affermò per primo la necessità che lo Stato riconosca l'uguaglianza
dei diritti in materia di religione a tutti i cittadini ( "non esclusi né i pagani,
né i maomettani, né i giudei), ma anche il suo dovere di tutelare e conciliare
le aspirazioni di ogni uomo alla vita, alla libertà, all'integrità fisica e morale
e al mantenimento dei beni esteriori onestamente acquisiti. Locke prevede
però un'eccezione al suo concetto di tolleranza. Dobbiamo tollerare tutto e tutti.
Tranne la chiesa cattolica: "Non hanno motivo di essere tollerati coloro che attribuiscono
al fedele, religioso o ortodosso, cioè a se stessi, un privilegio particolare
o un potere sugli altri in questioni di tipo civile, oppure coloro che con il pretesto
della religione si arrogano un qualche diritto su chi è fuori dalla loro congregazine
ecclesiastica. [...] Non ha alcun diritto di essere tollerata quella chiesa che sia
costituita sul principio che coloro che vi entrano a far parte si pongono ipso facto
sotto la protezione e il servizio di un altro sovrano". Nel suo intervento
al convegno "La laicità indispensabile",
lei ha sostenuto che l'integralismo degli altri non deve giustificare il nostro.
L'apertura per lei è fondamentale. Ma in un momento così delicato, la tolleranza
è possibile? «Bisogna reagire all'integralismo con fermezza. La fermezza è la difesa
dei propri principi e della propria fondazione di civiltà. L'integralismo mette
in questa difesa una carica di intollerenza che non è mai il caso di adoperare.
Perdonate il gioco di parole ma l'intollerenza dell'intolleranza può generare
vortici pericolosi. L'intollerenza anziché attenuare alcuni pericoli può addirittura
accentuarli. Quando dico che bisogna aprirsi verso le diversità, intendo che ci si può
aprire che con chi è disposto al dialogo. Contro gli altri occorrerà difendersi,
ma rispettando i criteri della nostra cultura giuridica, quei principi che sono
il frutto della nostra storia, della nostra cultura, della nostra civiltà».
Ed a proposito di principi, i cattolici sostengono che l'Europa abbia radici
cristiane... «Io dico sempre, un po' per scherzo, un po' per davvero, che se ci vuole
una vita per dimostrare quanto il cristianesimo abbia trasformato l'Europa ce ne
vorrebbe un'altra per dimostrare quanto l'Europa abbia trasformato il cristianesimo.
Io credo che se si può parlare di radici cristiane dell'Europa si può anche parlare
di radici europee del cristianesimo. Il cristianesimo è diventato quel che è perché
si è europeizzato. C'è sicuramente stato un rapporto di interscambio che però
non giustifica nessun privilegio del cristianesimo, e meno che meno del cattolicesimo,
rispetto ad altri fattori, movimenti, istituzioni che hanno concorso alla
costituzione dell'Europa. Direi che l'Europa in molti casi si è costituita proprio contro il
cristianesimo».
Lei ha parlato di "diritto mite"... «No, non è corretto. Diritto mite è un'espressione
a me ben nota, anche per il fatto che è il titolo di un celebre libro di un mio carissimo
amico. Io invece parlo di un diritto che sia "eticamente neutro". Un diritto che possa
essere fruito da tutti, senza che i soggetti entrino in alcun modo in conflitto
con i propri convincimenti. Un diritto che possa essere perseguito da tutti.
La legge consentirà di divorziare, per esempio. Sarà poi il soggetto che si avvarrà
nella propria coscienza di avvalersi o meno di questa possibilità, a seconda
dei suoi convincimenti religiosi o filosofici. È una sorta di responsabilizzazione
etica degli utenti di una legge che è eticamente neutra. Il codice morale interviene
solo in un secondo momento, ma non è una imposizione del legislatore».
Andrea Apruzzese
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