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Latina. L'Uso della Verità come Strumento e come Bugia. Le dichiarazioni di Fini in Israele nascondo una pruderie
eccessiva ed offensiva
Le dichiarazioni fatte da Fini (nella foto nel corso di un'intervista a ParvapoliS) nella sua
recente visita in Israele possono essere già
consegnate alla storia, anche se appartengono alla più cruda e controversa attualità. L'esponente della
destra o ex destra italiana ha così avuto un'occasione più che propizia, unica, per
attirare sulla sua persona e sul gruppo che lo circonda tutto l'interesse della stampa
nazionale e internazionale. Altrimenti, come sarebbe potuto accadere una cosa simile in
Italia o in qualsiasi altra parte del mondo?
Siamo qui in presenza, preliminarmente, di tre elementi costituenti la miscela esplosiva
e interagenti: il contenuto stesso delle dichiarazioni, con l'esatta utilizzazione di
termini e di frasi di specifico livore e odio antifascista, il luogo dove esse sono state
dette, gli interlocutori primi a cui sono state dette. A ciò, per avere un quadro completo
dell'avvenimento, si può correttamente aggiungere la sistematica sbavatura del duplice
ruolo di Fini, lì in visita in qualità di vicepresidente del consiglio e in qualità di
presidente di Alleanza Nazionale. Come ordito e come trama, invece, è necessario non
dimenticare la pruderie del capo ex-missino e dei suoi non sopiti progetti di scivolare,
tutto incapsulato nella struttura del suo partito sudamericano, in seno al Partito
popolare europeo.
Ma, a scanso di equivoci e di fraintendimenti su presunte mie idee pregiudiziali, ritengo
subito necessario aggiungere che a mio parere bene ha fatto Fini a condannare senza mezzi
termini e senza sotterfugi, pur nell'ambito di questa duplicità di ruoli per l'occasione
più che mai meno adatta ai compiti delle sue diverse cariche, le responsabilità dirette
del regime fascista e le innumerevoli complicità politiche e morali italiane nell'emanare
e nell'applicare le leggi razziali antiebraiche. Bene ancora ha fatto Fini nell'avere
richiamato come questo fatto dette amplificazione morale e politica alla discriminazione
razziale messa in atto dal governo nazista, bene ancora ha fatto nell'avere ricordato le
ulteriori complicità italiane durante la Repubblica Sociale Italiana. Bene ancora ha
fatto nell'avere ripetuto la richiesta di perdono per queste responsabilità, che tali
moralmente e storicamente rimangono. Ma, sotto la luce dei riflettori, o per cinico
calcolo politico, o per insipienza morale o per incoscienza politica o per ignoranza
culturale, o per qualsiasi ulteriore serie di plausibili ipotesi, Fini ha detto quel che
non doveva dire e, soprattutto, ha taciuto quel che doveva dire.
Cosa ha detto che non doveva dire? Quei termini e quei concetti che - rimasticati dalla
più reproba e fanatica propaganda, oggi per fortuna quasi marginale nella più seria
letteratura storica, politologia, filosofica - hanno parlato e parlano di "male assoluto"
recando offesa alle tante altre specificità di massacri che costellano la storia
umana sino a epoche e anni recenti, non escludendo perfino quelli propri alla
contemporaneità degli avvenimenti dell'olocausto ebraico. Quel "valore dell'antifascismo"
inteso come un tutt'uno a dir poco o come un bel mazzo di fiori a dir molto,
indiscriminatamente lasciando in esso inteso anche quello dell'antifascismo comunista.
Assurdità crassa quanto le assurdità finiane. Quella sferzata sottolineatura generalizzante
in cui i suoi presumibili o dietrologici distinguo sono stati letteralmente inghiottiti.
Quel definire il fascismo come male totale in quanto antiebraico e, cripticamente,
totalitarismo complementare al nazismo.
Cosa avrebbe avuto da dire come obbligo morale e storico? Che il fascismo nella sua nascita
formazione e dottrina non fu mai razzista. Che il movimento e poi il partito e poi il
regime fascista non furono mai antiebrei fino alla metà degli anni trenta, e che anzi
ebrei delle comunità italiane erano fascisti ante-marcia e occupavano posti e ruoli sino
ai massimi livelli, come insegna la storia esemplare e tragica di Vita-Finzi, poi trucidato
da antifascista dai tedeschi alle Fosse Ardeatine. Che il capo del governo e duce rifiutò
la richiesta di Santa Romana Chiesa d liquidare la Sinagoga di Roma come prezzo (uno dei
"prezzi") per arrivare a concludere il Trattato e i Patti Lateranensi. Che il governo
italiano, il governo fascista italiano aprì una scuola navale a Civitavecchia, quando
ancora dello Stato di Israele non esisteva neanche l'ombra, in cui furono preparati gli
uomini della futura marineria israeliana (e che essi, dotati di un brigantino, ci
crearono un incidente diplomatico con la Francia, perché, nell'entrare in un porto
dell'Algeria francese, issarono la bandiera, la futura bandiera israeliana anziché
il tricolore). Che l'Italia, e per essa i maggiorenti del governo e del regime
(duce compreso) dettero rifugio, ospitalità e lavoro a centinaia di ebrei espulsi
o fuggiti dalla Germania, come testimonia l'insigne storico della Rinascenza, Paul
Oskar Kristeller, figura di fama mondiale nell'ambito della cultura, il quale ha
scritto e testimoniato che, nel caso in questione, "le polemiche sul presunto
antisemitismo di Gentile sono prive di fondamento" (egli poi ebbe i soldi da
Gentile e Mussolini per partire e raggiungere gli USA; ma già nei primi anni
novanta lo studioso aveva dato la sua testimonianza in un numero degli Annali
della Scuola Normale di Pisa, per quanto poi…il cieco fanatismo ideologico del
Senato Accademico rosso scatenò il falso e lo scandalo della lapide con incise
le frasi false e blasfeme, lapide fatta rimuovere dalla famiglia per vie legali),
e poi ancora aiuto per lasciare l'Italia quando le infami leggi vennero promulgate
nel 1938. E ancora: che l'Italia salvò migliaia e miglia di ebrei in Grecia Jugoslavia
e…Francia, sottraendo nel Midì cittadini francesi ebrei perfino alla Gestapo. Di tutto
questo, vi è la storia e la documentazione, che, per quanto pubblica e frutto di studi -
pensiamo innanzitutto alla grande opera di Renzo De Felice - anche e soprattutto di
professori ebrei, è confinata e non viene minimamente utilizzata. Al gruppo pilota dei
finiani suicidi, chissà quanto crassi di cultura, mi basta qui ricordare che già nei
primi anni settanta, quando vi fu il grande rigoglio elettorale e culturale e a un tempo
della destra italiana, su di un numero dell'allora prestigiosissimo "Intervento" (che
assieme a "La Destra" de "il Borghese" era lo strumento culturalmente più qualificato
a livello internazionale) uno storico ebreo israeliano assolveva l'Italia dal concorso
in questi grandi crimini (questi cinici mestatori vadano a ricercare). Certo, qui non basta
citare Perlasca, di fronte ad un'attività di salvataggio coperta direttamente dall'alto in
gran parte dei casi. Ma ad essi comunque do un'indicazione: Meicher Michaelis, "Mussolini e
la questione ebraica" con sottotitolo "Le relazioni italo-tedesche e la politica razziale
italiana), Edizioni di Comunità 1982, con successive ristampe, un volume fittissimo e
quanto mai ricco di informazioni e di dati frutto di uno studioso antifascista e
anti-italiano. Rinasceranno dalla loro esiziale bestialità culturale.
Le responsabilità del regime e dell'Italia, non sottacibili ma ben identificabili e
definibili entro un ben preciso arco cronologico e solo relativamente ad esso riferibili,
non annullano, non possono e non devono annullare tutta la storia precedente. Altrimenti,
cadiamo in un fanatismo opposto e foriero di incomprensioni e di pericoli.
Peraltro, poiché dalla fine della guerra l'Italia si è discolpata delle responsabilità
di cui qui stiamo parlando - salvo la loro eventuale, unica ed esclusiva inespiabilità -,
garantendo ai suoi cittadini di religione ebraica puntuali e puntigliose garanzie e
difese effettive dei loro diritti; e poiché la stampa e la produzione
politico-cultualale dell'apparato e degli uomini del MSI ieri e sin dalla sua nascita
e di Alleanza Nazionale poi hanno sempre dimostrato un assoluto e perfino acritico
sussiego, un pressoché totale uniformarsi alla politica israeliana, e mai hanno
dato la possibilità di prestarsi a credibili e diffuse convinzioni razziste, vi è
materiale ad abundantiam per smentire le tardive affermazioni di Fini.
Se Fini e i suoi amici hanno coltivato per tanti lunghi anni idee diverse da quelle della
gran parte dell'elettorato che interpretavano, rimanendo su così su posizioni nostalgiche
o estremistiche, questo, per quanto è in parte affar loro, li dovrebbe portare a chiedere
due volte scusa anche agli iscritti, agli elettori e agli italiani tutti.
Tuttavia, per ritornare alle problematiche delicate e intricate che costituiscono la
questione ebraica indipendentemente (o anche con l'olocausto), vi è un testo al quale
i politici e gli uomini di cultura dovrebbero tornare in via necessaria: Giudo Fubini,
"La condizione giuridica dell'ebraismo italiano", La Nuova Italia 1974, testo
insostituibile per l'importanza problematica e critica a livello storico, giuridico e
morale della presentazione di un integerrimo uomo di cultura che fu punto di riferimento
indiscusso per tanti antifascisti, Arturo Carlo Jemolo.
La verità è che probabilmente il gruppo pilota di Alleanza Nazionale sta giocando nei modi
più spregiudicati, facendo allibire la lezione di Machiavelli, deciso come è -
nella supercottura ricevuta dalla breve esperienza di esercizio del potere che ha suscitato
incontenibile ebbrezza ed ha abbacina lo spirito -, ma facendo allibire perfino "La Stampa"
che mi pare che abbia scritto che Fini ha fatto tornare l'Italia indietro di mille anni.
Ed infatti, mentre stavamo per raggiungere le condizioni di una pacificazione nazionale
definitiva, l'antifascista di oggi, Fini, ci ha fatto precipitare nel baratro delle passioni
e delle vergogne. Ma le sue vergogne le deve esibire come sue e non renderle collettanee,
tanto più che le sue giovanili fortune politiche nascono sul terreno del nostalgismo e
del prolungamento ideale del mito del capo (tipologia bonapartista nata con l'elevazione
di Mussolini al rango di duce e dittatore), quell'idea di unto del duce tramite la
mistica designazione di Giorgio Almirante. Egli in questo modo non ha aiutato il suo
partito-giocattolo né la nazione, ma ha consumato un'abietta azione politico-morale
e un'apostasia e un tradimento di fede e di continuità di metodo, risultando comunque
e sempre essere il delfino allora designato in una logica che oggi e da dieci anni dice
di ripudiare. Coerenza vuole, che abbandonasse lui il partito allora (si parlava di
"lista Fini" alla pari con l'elefantino…, in un altro contesto critico determinato dalle
sue sempre scelte sbagliate), o che lo abbandoni oggi con tutta la sua nomenklatura.
E a nulla serve dire che questo è valso per rompere definitivamente con il passato:
qui Fini si è tirato in causa, ha trattato la questione non in termini storici ma di
viva, vivissima attualità scoprendo la sua natura e la sua (mancata) attività partigiana.
Se non è vieta demagogia questa! A ciò sarebbe soltanto servito dire appunto di
svoltare o di rompere, senza implicare l'anatema e il tradimento, la condanna
immotivata infondata amplificata grottesca e illimitatamente strumentale.
Se Fini vuole rincorrere Bossi per le piazze si sbaglia, le sue scelte sono risibili e
grottesche al tempo stesso: parla di posizioni liberali e ammicca i becero-clericali,
mira a un partito moderno e vuole danneggiare ruolo e interesse dell'Italia in seno
all'Unione Europea per le inventate "radici ebraico-cristiane", poi soltanto "cristiane"
poi parrebbe (in base alla bozza del governo) "eredità cristiana", laddove ventuno Stati,
compresi quelli retti da sovrani cristiani (Regno Unito e regni scandinavi) sanno ben
distinguere ambito civile e temporale e ambito religioso. Parla ancora di amicizie
occidentali e atlantiche, e continua ad avere un partito ciecamente e tenebrosamente
chiuso a chi ufficialmente è massone. Parla ancora di partito di forte identità nazionale
e sconosce la vera identità italiana e il ruolo fondamentale, esclusivo dei massoni
nella formazione della nostra nazione e nella sua storia ulteriore. Parla di Unione europea
e poi ripropone il grottesco provincialismo dell' Europa delle nazioni atto a paralizzare
la centralità del ruolo unitario in politica estera e di difesa per tutti gli Stati
dell'Unione. Parla di innovazione e di riforme strutturali e abbandona le grandi riforme
(Scuola, Banca d'Italia, Consob e altro ancora) alle vecchie logiche di potere o al
predominio politico di altri soci della coalizione.
Non so se Fini è codino, ma certo è difficilmente interpretabile, oggi più di ieri, per
il livello di progettualità e di finalità che risulta essere agli uomini che vivono alla
luce del sole alquanto occulto, di un occulto tipico delle degenerazioni partitocratriche
(e non della Massoneria), e non della ben defunta dittatura fascista sotto lo scettro regale
che totalitarismo in alcun modo non fu (ma Fini non sa o non ricorda che queste cose gliele
ha presumibilmente insegnate Fisichella).
Cosa non ha detto ancora Fini? Che gli alleati americani e del Nord Europa ben hanno
motivo di essere guardinghi del suo club para-sanfedista, perché Stati liberi in cui la
Massoneria vive prospera e opera liberamente.
E ancora, di quello che mi sta a cuore? Di non avere riconosciuto la nefasta legge del
primo regime fascista con cui veniva posta di fatto fuori legge la Massoneria (per
compiacere in particolare alcuni), producendo una rovinosa caduta all'interno del regime,
in cui parte rilevante delle intelligenze politiche e culturali erano costituite da
esponenti della Massoneria, come il grande patriota Arturo Reghini, poi morto da
antifascista, o lo stesso D'Annunzio o Balbo e quanti altri ancora. Crollava così la
possibilità di realizzare una democrazia organica intellettualmente orientata. Di
non potere la nomenklatura finiana più pensare di porre corone accanto ai caduti
della R.S.I. (in cui purtroppo visse l'ormai vieta e degenerata forma mentis antimassonica),
che morirono per la Patria scrivendo pagine di gloria e preservando la popolazione,
il territorio, le industrie dall'altrimenti terribile ritorsione dell'alleato tedesco.
Junio Valerio Borghese insegna in maniera splendida. Ma non soltanto.
Cosa rimane e cosa rimarrà dopo? La disistima umana e la grave inimicizia? Forse per
tanti. E comprendo come questo sia il giusto prezzo nei rapporti umani e di rottura
improvvida delle coesioni politiche e ideali. Certo, e sicuramente certo, non il
purtroppo e inatteso, banale "finalmente" di Marcello Veneziani. Pare vero che allora
tanti diventano "trombetta", con mio stupore e dolore. Senza ironie e senza dolci saluti per un non sottile Fini dai mancati distinguo.
Domenico Cambareri
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