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Latina. Proibizionismo. Francesco Storace: «Sulla droga lo stato non può restare indifferente». Anticamera della sconfitta delle libertà personali?

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Francesco Storace, "governatore" della Regione Lazio. Le battaglie per le libertà individuali sono oggi anche sancite dalla costituzione. Misure proibizioniste, pensiamo per esempio alla politica governativa sulle droghe, in cui tra l'altro manca anche una distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, non vanno ad intaccare i nostri diritti, secondo lei? «Guardate che nella Costituzione mica c'è scritto libertà di rubare in casa altrui. I reati sono reati. La Costituzione in realtà impegna le istituzioni a far sì che la libertà di ogni cittadino non vada a ledere i diritti altrui. Drogarsi, se questo è il tema, è un delitto contro se stessi e contro la società. E questa l'impostazione culturale da cui si deve partire. Non possiamo accettare un punto di vista in cui lo Stato dica: "fai come ti pare". Questa sarebbe anarchia». Ma confondere droghe pesanti e droghe leggere non è pericoloso per il ragazzo stesso che vorrebbe solo fumarsi uno spinello e che, anziché comprarlo in un negozio, si deve rivolgere ad ambienti vicini al mondo criminale? «Guardi, stiamo parlando di reati. Non si tratta di proibire a qualcuno una cosa che è lecita; si tratta di proibire a qualcuno una cosa che è illecita e oltretutto dannoso. Andiamoci piano col termine proibizionismo». Drogarsi rientra però nelle scelte personali. Come il fumo o l'alcool... «Potrei allora decidere di venire a rubare in casa vostra, per scelta personale». Ma in questo caso lei lederebbe dei diritti altrui. Non con la droga, per cui uno, al limite, lede solo i propri... «Quindi per voi anche il suicidio è un diritto individuale». Sicuramente sì. E oltretutto un suicida non viene punito. «Conosce la punizione peggiore». In relazione all'uso terapeutico della cannabis, lei invece cosa ne pensa? «Che sia pericoloso. Perché può fare da sponda a chi sostiene che la cannabis può fare anche bene. E io non sono convinto di questo». Quanto incide sul proibizionismo la chiesa cattolica e la sua pretesa settaria e anacronistica di criminalizzare il peccato? «Qui stiamo parlando di salute».
L'antiproibizionismo, da sempre, è uno dei temi più controversi del liberalismo. Non è facile distinguere un comportamento che reca danno ad altri da uno che non lo fa: si potrebbe addirittura sostenere che il danno dipende dai criteri di liceità che ogni società si dà, e che mutano storicamente. Se ammettiamo che sia lecito, o magari anche doveroso, impedire a un individuo, anche con la forza, di gettarsi in un fiume per annegarsi, che obiezione ci può essere, per esempio, alla proibizione di far uso di sostanze che danneggiano, in modo accertato, la salute, la vita, la lucidità mentale dell'individuo stesso? Perché non sarebbe lecito, in questo caso, costringere gli individui in vista del loro stesso bene? Oppure: se il principio di libertà è difeso per ragioni conseguenzialiste, cioè in quanto genera buone conseguenze consentendo agli individui di perseguire il loro bene, non perde la sua ragion d'essere quando il comportamento dell'individuo va manifestatamente contro il suo stesso bene? Alla plaudibilità di queste obiezioni risponde per esempio Stuart Mill che oppone una serie di argomenti rilevanti. Il singolo è la persona più interessata al proprio benessere, più di quanto non lo sia la società. La società ha avuto in ogni caso il modo, con l'educazione, di prevenire nel singolo i comportamenti sgraditi. Se non si ponessero dei limiti all'ingerenza del pubblico sui comportamenti privati, questo finirebbe per punire, come è successo infinite volte nella storia, non ciò che è provatamente dannoso per i singoli stessi, ma tutto ciò che va contro le preferenze e soprattutto le superstizioni: basti pensare alla persecuzione nei confronti delle persone irreligiose o considerate immorali. Non solo la storia della chiesa cattolica. Pensiamo a Socrate. Insomma, non si può conferire alla società un potere che essa ha sempre dimostrato, nei secoli, di non sapere usare bene.

Mauro Cascio, Elisabetta Rizzo

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