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Latina. S come Sviluppo. Giuseppe Petrocchi ai politici: «Un territorio è come un areoplano. Se non ha le spinte giuste non prende più il volo»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Giuseppe Petrocchi,
massima autorità della comunità cattolica pontina, il
gruppo religioso più numeroso in Italia (nell'ultima
indagine Cirm si dichiara cattolico ben il 22% degli italiani).
Lei ha parlato delle difficoltà della provincia pontina
paragonandola ad un aereo che non riesce a decollare.
Ci sono dei problemi in cabina di pilotaggio e i motori
non sono abbastanza forti per dare la spinta per il decollo.
Quali sono questi motori e quali le difficoltà in cabina
di pilotaggio? «Le scelte sin qui fatte non hanno mantenuto
una unità di rotta. Di conseguenza non ci sono state procedure
uniche. Quando ci sono più piloti è importante che lavorino
in piena intesa. Prospettive differenziate possono dare all'aereo
segnali non convergenti e quindi destinati a creare imbarazzi.
Per quanto riguarda i motori, fuor di metafora possiamo parlare
delle forze sociali, culturali, produttive che sono chiamate
a spingere nella stessa direzione». Una critica
ai nostri amministratori? «È una critica che investe tutti
noi. Siamo noi chiamati a maturare quel senso di appartenenza
di chi vive nello stesso territorio, per vivere la stessa storia.
Sentirsi dentro a uno stesso itinerario. Se finiscono per prevalere
gli individualismi ci mancano le potenze di spinta per vincere
la forza di gravità. Ed è la forza di gravità che tiene l'aereo
in pista, impedendogli di prendere il volo. Sono i localismi,
gli individualismi che prevalgono sul bene comune».
Latina è una città che da sempre accoglie gli stranieri.
Ieri il campo profughi, oggi gente che cerca un sogno nel nostro
paese. L'incontro tra culture diverse, tra religioni diverse,
può causare se non incidenti quantomeno incomprensioni. Quanto
è importante il dialogo? «Le incomprensioni, quando avvengono,
non avvengono mai per motivi religiosi. Le religioni possono
camminare verso la costruzione di un mondo dove prevale l'accoglienza
e la volontà di pace. Ci sono persone che utilizzano il discorso
religioso come copertura dei propri interessi. Le religioni
non possono prescindere dal riconoscimento del valore dell'altro.
Quando ci sono dei problemi bisogna avere il coraggio di collegare
i sintomi alla malattia: ma a quella vera, non a quella accreditata.
Io sono convinto che è possibile fare della molteplicità una risorsa,
quindi una sorgente di ricchezza. Tutto sta nel saper porre con
correttezza la propria identità e nel sapersi aprire alla novità
che è l'altro, con la pazienza di ricomporre i nuovi equilibri».
Che ruolo hanno i media in tutto questo?
«Secondo me è fondamentale. Quando l'informazione sia corretta, puntuale.
La comunicazione sociale rappresenta un momento che dà straordinarie opportunità
di mettersi al servizio della gente».
La società laica ha oggi un rapporto "freddo" con gli insegnamenti cattolici,
pensiamo al tema della fecondazione assistita, per esempio. Lei non ritiene
che ci possa o debba essere un'evoluzione della chiesa cattolica in questo
senso? «Noi camminiamo con la gente, ne condividiamo drammi e speranze.
Noi proviamo a svolgere un servizio. Un papà o una mamma non farebbero il
loro dovere se, assieme ai consensi, non esprimessero ai loro figli con coraggio anche
il divieto di prendere determinate direzioni».
Andrea Apruzzese
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