Parvapolis >> Politica
Latina. Fini fatti una canna. Marco Pannella, l'erba ed il fucile. Il leader radicale: «Fumarla o brucarla deve essere la stessa cosa»
«Brucare, o fumare erba, non mi interessa», ha detto Marco Pannella, leader storico
dei Radicali Italiani.
«E non mi interessa per la semplice ragione che lo faccio da sempre. Ho un'autostrada di
nicotina e di catrame dentro che lo prova, sulla quale viaggia veloce quanto
di autodistruzione, di evasione, di colpevolizzazione e di piacere consunto e
solitario la mia morte esige e ottiene. Mi par logico, certo, fumare altra erba meno
nociva, se piace, e rifiutare di pagarla troppo cara, sul mercato, in famiglia e in società,
in carcere. Mi è facile, quindi, impegnarmi senza riserve per disarmare boia e carnefici
di Stato, tenutari di quel casino che chiamano "l'Ordine", i quali per vivere e sentirsi
vivi hanno bisogno di comandare, proteggere, obbedire, torturare, arrestare, assolvere
o ammazzare, e tentano l'impossibile operazione di trasferire i loro demoni interni
(di impotenti, di repressi, di frustrati) nel corpo di chi ritengono diverso da loro
e che, qualche volta (per fortuna!), lo è davvero. Ma fare dell'erba un segno positivo
e definitivo di raccordo e speranza comuni mi par poco e sbagliato».
«Sono contro ogni bomba» - ricorda Pannella - «ogni esercito, ogni fucile, ogni
ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo,
contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se "rivoluzionario".
Credo alla parola che si ascolta e che si dice, ai racconti che ci si fa in cucina,
a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuol essere onesti ed essere davvero capiti,
più che ai saggi o alle invettive, ai testi più o meno sacri ed alle ideologie. Credo
sopra ad ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello "spirituale": alle carezze,
agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d'evasione o
individualistici - e tanto più "privati" mi appaiono, tanto più pubblici e politici,
quali sono, m'ingegno che siano riconosciuti».
«Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d'occuparlo. Non credo
ai "viaggi" e sarà anche perché i "vecchi" ci assicurano sempre che "formano"
(a loro immagine) i "giovani", come l'esercito e la donna-scuola. Non credo al fucile:
ci sono troppe splendide cose che potremmo/potremo fare anche con il "nemico" per
pensare ad eliminarlo. E voi di Re Nudo dite: "tutto il potere al popolo", "erba e
fucile". Non mi va. Lo sai, non sono d'accordo".
L'etica del sacrificio, della lotta eroica, della catarsi violenta mi ha semplicemente
rotto le palle; come al "buon padre di famiglia", al compagno chiedo una cosa prima
d'ogni altra: di vivere e d'essere felice. Penso, personalmente, che avendo un certo
bagaglio di speranze, di idee e di chiarezza non solo questo sia possibile, ma che
non vi sia altro modo per creare e vivere davvero felicità».
«La violenza è il campo privilegiato sul quale ogni minoranza al potere tenta di
spostare la lotta degli sfruttati e della gente; ed è l'unico campo in cui
può ragionevolmente sperare d'essere a lungo vincente. Alla lunga ogni fucile è nero,
come ogni esercito ed ogni altra istituzionalizzazione della violenza, contro chiunque
la si eserciti, o si dichiari di volerla usare».
Mauro Cascio
|