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Latina. Note a margine: i percorsi della libertà. Quando laicismo non significa per forza irreligiosità. Le riflessioni sul tema di Benjamin Constant

È capitato e capita che le ragioni di un laico siano fraintese, in buona o cattiva fede. E nella matematica della scorrettezza ogni equazione è possibile e lecita. C'è chi non dice cosa pensa. E c'è chi dice quello che non sa. Parlano tutti e si concorre, insieme, ad un unico obiettivo: fare casino. Così c'è chi ti dice che laicismo uguale ateismo, deismo uguale confusione, sincretismo uguale ignoranza, relativismo uguale indifferentismo. Si dà cioè a credere che chi si professa apertamente laico, o ancora peggio consapevolmente anticattolico, sia di necessità un irreligioso. Non si scappa. In questa testata giornalistica ci siamo sempre professati laici. Spesso con toni apertamente (e ironicamente) provocatori. E non è vero che non c'è niente di peggio che essere presi sul serio. Una cosa c'è: avere qualcuno che porti alle estreme conseguenze le tue posizioni che, nell'intenzione, volevano essere paradossali. E allora tanto vale essere chiari, a costo di essere banali: le religioni storiche non hanno nulla a che vedere con la religiosità. E dare un giudizio negativo sulla storia, la dottrina, l'impostazione filosofica di una religione non vuol dire necessariamente partire da concezioni materialistiche. Ci sono delle bellisime pagine di Benjamin Constant, ed è un caso che in pochi giorni si arriva su ParvapoliS a citarlo ben due volte quasi a voler precisare che un liberale non legge sempre e solo John Locke. Della "libertà religiosa" Constant parla nei suoi "Principes de politique", il saggio del 1806 con cui dimostra di non essere solo un brillante scrittore di pamphlets ma anche un teorico di prima grandezza. Ebbene, scrive Constant, nello spiegare perché la religione è stata così spesso attaccata dagli uomini colti: «Esaminando le competenze dell'autorità in materia di religione, noi non pretendiamo affatto di contestare i vantaggi dell'idea religiosa. Più si ama la libertà, più si hanno a cuore le idee morali, più l'elevazione, il coraggio, l'indipendenza sono un bisogno, più è necessario, per fare affidamento sugli uomini, rifugiarsi nella fede di un Dio. Se la religione fosse stata sempre perfettamente libera, non sarebbe mai stata altro, penso, che un oggetto di rispetto e d'amore. Non si concepirebbe lo strano fanatismo che rende la religione in se stessa un oggetto di odio o di malevolenza. Questo ricorso di un essere infelice ad un essere giusto, di un essere debole ad un essere buono, mi sembra debba suscitare, negli stessi che lo considerano chimerico, soltanto interesse e simpatia. Chi considera come errori tutte le speranze della religione, deve essere commosso più profondamente di ogni altro da questo concerto universale di tutti gli esseri sofferenti, da queste richieste che nascono dal dolore e che si slanciano da tutti gli angoli della terra verso un cielo di bronzo, per rimanere senza risposta, e dall'illusione soccorritrice che prende per una risposta il confuso brusio di tante preghiere ripetute in lontananza nell'aria. Le cause delle nostre pene sono numerose. L'autorità può proscriverci, la menzogna calunniarci. I legami di una società tutta fittizia ci feriscono. La natura inflessibile ci colpisce in ciò che abbiamo di più caro. La vecchiaia avanza verso di noi, epoca cupa e solenne in cui gli oggetti si oscurano e sembrano ritirarsi, e un non so che di freddo e spento si diffonde su tutto ciò che ci circonda. Contro tanti dolori, noi cerchiamo consolazioni ovunque e tutte le nostre consolazioni durevoli sono religiose. Quando il mondo ci abbandona, stringiamo non so quale alleanza al di là del mondo; quando gli uomini ci perseguitano, ci creiamo non so quale aiuto al di là degli uomini. Quando vediamo svanire le nostre speranze più care - la giustizia, la libertà, la patria - ci illudiamo che esista in qualche luogo un essere che ci sarà grato per essere stati fedeli, malgrado il nostro tempo, alla giustizia, alla libertà, alla patria. Quando rimpiangiamo un oggetto amato, gettiamo un ponte sull'abisso e l'attraversiamo grazie al pensiero. Infine, quando la vita ci sfugge, ci slanciamo verso un' altra vita».
Così, ci dice Constant, la religione è, nella sua essenza, la compagna fedele, l'ingegnosa ed infaticabile amica dell'infelice. E non è tutto: «Consolatrice dell'infelicità, la religione è allo stesso tempo la più naturale delle nostre emozioni. Tutte le nostre senzazioni fisiche, tutti i nostri sentimenti morali, la fanno rinascere inconsapevolmente dentro di noi. Tutto ciò che ci sembra senza limiti e che produce in noi la nozione dell'immensità - la vista del cielo, il silenzio della notte, la vasta distesa dei mari - tutto ciò che ci conduce alla commozione o all'entusiasmo - la coscienza di un'azione virtuosa, di un generoso sacrificio, di un pericolo coraggiosamente sfidato, del dolore altrui soccorso o mitigato - tutto ciò che risveglia nel fondo dell'animo gli elementi primigeni della nostra natura il disprezzo del vizio, l'odio per la tirannide - nutre il sentimento religioso. Questo sentimento accompagna tutte le passioni nobili, delicate e profonde; come tutte queste passioni, ha qualcosa di misterioso, poiché la ragione comune non può spiegare nessuna di queste passioni in modo soddisfacente. L'amore, questa preferenza esclusiva per un oggetto di cui avevamo per lungo tempo potuto fare a meno e al quale molti altri somigliano, il bisogno della gloria, questa sete di una celebrità che deve prolungarsi dopo di noi, il godimento che troviamo nella devozione, godimento contrario all'istinto abituale del nostro egoismo, la malinconia, questa tristezza senza causa, in fondo alla quale vi è un piacere che non sapremmo analizzare, mille altre sensazioni che non si possono descrivere e che ci riempiono di impressioni vaghe e di emozioni confuse, rimangono inesplicabili per il ragionamento rigoroso. Tutte queste passioni hanno affinità con il sentimento. religioso. Esse aiutano lo sviluppo della morale: fanno uscire l'uomo dal ristretto circolo dei suoi interessi, rendono all' animo quell' elasticità, quella delicatezza, quell'esaltazione che viene soffocata dalle abitudini della vita comune e dai calcoli che questa richiede. Di queste passioni, l'allegria è la più complessa, perché ha come scopo un godimento determinato e vicino a noi, che ci conduce all'egoismo. Il sentimento religioso, per la ragione opposta, è di tutte queste passioni la più pura. Non fugge con la giovinezza; talvolta si rafforza nell' età avanzata, come se il cielo ce l'avesse donata per consolare l'epoca più desolata della nostra vita. Un uomo di genio diceva che la visione dell' Apollo del Belvedere o di un quadro di Raffaello lo rendeva migliore. Vi è in effetti nella contemplazione di ogni genere di bello qualcosa che ci distacca da noi stessi, facendo ci sentire che la perfezione vale più di noi e che, ispirandoci in tal modo un momentaneo disinteresse, risveglia in noi la forza del sacrificio, forza-madre di ogni virtù. Vi è nell'emozione, quale che ne sia la causa, qualcosa che fa circolare più rapidamente il nostro sangue, che ci procura una sorta di benessere, che raddoppia il sentimento della nostra esistenza e delle nostre forze e ci rende così suscettibili di una generosità, di un coraggio, di una simpatia superiori alla nostra abituale disposizione. Anche l'uomo corrotto è migliore quando è commosso e fino a quando lo rimane. Non intendo affatto sostenere che l'assenza del sentimento religioso provi in ogni individuo l'assenza di morale. Vi sono uomini nei quali domina lo spirito e che cedono soltanto di fronte ad una completa evidenza. Questi uomini sono solitamente dediti a profonde meditazioni e le gioie dello studio o l'abitudine al pensiero li preservano dalla maggior parte delle tentazioni corruttrici; sono di conseguenza uomini capaci di una moralità scrupolosa. Ma nella folla degli uomini ordinari, l'assenza del sentimento religioso, non essendo legata a tali cause, annuncia molto spesso, credo, un cuore arido, uno spirito frivolo, un'anima assorbita in piccoli ed ignobili interessi, una grande sterilità d'immaginazione. Faccio eccezione per il caso in cui questi uomini vengano perseguitati: l'effetto della persecuzione è di far ribellare contro ciò che essa impone, può allora accadere che uomini sensibili ma fieri, indignati da una religione che viene loro imposta, respingano senza esame tutto ciò che concerne la religione. Ma questa eccezione, legata esclusivamente alle circostanze, non intacca la tesi generale. [...] Tutto ciò che è bello, tutto ciò che è intimo, tutto ciò che è profondo, è religioso. L'idea di un Dio è il centro comune in cui si riuniscono, al di sopra dell'azione del tempo e del vizio, tutte le idee di giu stizia, di amore, di libertà, di pietà che, in questo mondo di un giorno, compongono la dignità della specie umana. È la tra dizione permanente di tutto ciò che è bello, grande e buono attraverso l'avvilimento e l'iniquità dei secoli, voce eterna che risponde alla virtù nella sua lingua, quando la lingua di tutto ciò che la circonda è quella della bassezza e del crimine; è l'ap pello del presente all' avvenire, della terra al cielo, il ricorso" solenne di tutti gli oppressi in tutte le situazioni, l'ultima spe ranza della debolezza calpestata e dell 'innocenza immolata. Pensiero consolante e fiero: no, qualsiasi cosa accada, la spe cie umana non potrà fare mai a meno di voi. Per quale motivo, dunque, la religione, questa alleata costante, questo appoggio necessario, questo solo barlume nelle tenebre che ci circondano, è stato in tutti i secoli esposto ad attacchi frequenti e accaniti? Per quale motivo la classe che se n'è dichiarata nemica è stata quasi sempre la più colta, la più indipendénte e la più istruita? Il fatto è che la religione è stata snaturata; l'uomo è stato perseguitato in questo ultimo asilo, in questo santuario intimo della sua esistenza. La religione si è trasformata, nelle mani dell'autorità, in un'istituzione mi nacciosa. popo aver creatola maggìorparte e i PIÒ strazianti del nostri dolori, il potere ha preteso di.impQrre aij'uomo per sino le sue consolazioni. La religione dogmatica, potenza osti le e persecutoria, ha voluto sottomette'realstio giogo l'imma ginazione nelle sue congetture e il cuore nei suoi bisogni; essa è divenuta un flagello più terribile di quelli che era destinata a far dimenticare. Da qui è nata, in tutti i secoli in cui gli uomini hanno reclamato la loro indipendenza morale, questa resistenza alla religione, che è sembrata diretta contro il più dolce dei sentimenti e che in effetti era diretta soltanto contro la più oppressiva delle tirannidi. L'intolleranza, ponendo la forza a fianco della fede, ha posto il coraggio a fianco del dubbio. Il furore dei credenti ha esaltato la vanità degli increduli e l'uomo è arrivato così a farsi un merito di ciò che, lasciato a se stesso, avrebbe considerato come una sventura. La persecuzione provoca la resistenza. L'autorità, minacciando una qualsiasi opinione, spinge tutti gli spiriti di un qualche valore alla manifestazione di tale opinione. Vi è nell'uomo un principio di rivolta contro ogni costrizione intellettuale; questo principio può giungere fino al furore, può essere la causa di molti crimini, ma partecipa di tutto ciò che vi è di nobile in fondo al nostro cuore. Mi sono spesso sentito colpito da tristezza e stupore leggendo il famoso "Sistema della natura"; questo lungo accanimento di un vegliardo nel chiudere davanti a sé ogni avvenire, questa inesplicabile sete di distruzione, quest'odio cieco e quasi feroce contro un'idea dolce e consolante, mi parevano uno strano delirio. Tuttavia lo comprendevo, ricordando i pericoli con i quali l'autorità circondava questo scrittore. Da sempre la riflessione degli atei viene turbata ed essi non hanno mai avuto il tempo o la libertà di considerare in pace la propria opinione, che è sempre stata una proprietà che si voleva strappare loro. Essi hanno pensato meno ad approfondirla che a giustificarla o a difenderla. Ma lasciateli in pace: essi getteranno ben presto un triste sguardo sul mondo che hanno spopolato della divinità e si stupiranno essi stessi della loro vittoria. L'agitazione della lotta, la sete di riconquistare il diritto d'esame, tutti questi motivi d'esaltazione non li sosterranno più; la loro immaginazione, prima completamente occupata dal successo, si ripiegherà inattiva e come deserta su se stessa. Essi vedranno l'uomo solo, su una terra che deve inghiottirlo. L'universo è senza vita: generazioni passeggere, fortuite, isolate vi compaiono, soffrono e muoiono. Alcuni ambiziosi se le disputano, se le accaparrano, le offendono, le lacerano. Esse non hanno nemmeno la consolazione di sperare che prima o poi questi mostri saranno giudicati e che vedranno infine splendere Il giorno della riparazione e della vendetta. Nessun legame esiste; tra queste generazioni, il cui retaggio è su questa terra la servitù e poi il nulla. Ogni comunicazione fra passato, presente e futuro è spezzata; nessuna voce si prolunga dalle civiltà che non sono più verso le civiltà viventi e la voce di quest'ultime dovrà un giorno inabissarsi nello stesso silenzio eterno. Chi non avverte che se l'ateismo non avesse incontrato l'intolleranza, quel che di scoraggiante vi è in questo sistema avrebbe agito sull'animo dei suoi sostenitori in modo da mantenerli nell'indifferenza verso ogni cosa, nell'apatia e nel silenzio? Lo ripeto. Fino a quando l'autorità lascerà la religione perfettamente indipendente, nessuno avrà interesse ad attaccarla; non lo farà neppure il pensiero. Ma se l'autorità pretende di difenderla, se vuole soprattutto farsene un'alleata, l'indipendenza intellettuale non tarderà ad attaccarla».

Mauro Cascio


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