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Latina. Note a margine: i percorsi della libertà. Le forze sane e democratiche che stanno cambiando, da dentro, l'Islamismo e la Turchia
Giurano sul Corano, il Vangelo e la Torah. Vivono
nell’Islam, ma i fondamentalisti li collegano al "complotto ebraico",
li spazzerebbero dalla faccia della Terra. Sono vicini a grandi governanti
Islamici - i re di Marocco e Giordania, la famiglia Assad - ma
mezzo mondo arabo li tiene al bando dalla guerra del Kippur. Gli integralisti
cattolici li detestano, vedono in essi la sponda dell’Islam in
un’Europa senza dio. Sono criptati, iper-laici, interconfessionali. Come i
"fratelli" europei si rifanno ai cavalieri del Tempio di Gerusalemme, gli
eretici che al tempo delle Crociate cercarono terze vie tra Islam e
Cristianesimo. Sono i Massoni nelle terre dei minareti, gli obiettivi
dichiarati delle bombe di Al Qaeda a Istanbul. Se ne sa poco, ma sono
tanti, e la Turchia è il loro bastione. Hanno avuto un primo ministro,
Sulevman Demirel. La repubblica moderna è nata da loro, dalla sommossa
dei Giovani Turchi che ai primi del Novecento copiarono il
modello delle logge di Salonicco, in collegamento con gli inglesi. Il laicismo
duro di Ankara è cresciuto in quegli ambienti. «È stato allora - racconta
il francese Thierry Zarcone, massimo esperto del tema - che in
Turchia l’Islam ha smesso di essere religione di Stato». Via le barbe, via
il velo. Nelle scuole, nelle università, nei pubblici uffici.
Sulla Massoneria in Turchia e sul suo ruolo importante nel processo di laicizzazione
e democraticizzazione del Paese ha scritto Paolo Rumiz sul quotidiano La Repubblica:
«Nevica, ululano i muezzin, il vento dalla steppa spazza il Mar di
Marmara, navi arrancano controcorrente nel Bosforo striato di schiume,
passano in una nube di gabbiani sotto il ponte trai Continenti. Ecco,
la Massoneria è come quel ponte, un umanesimo che collega Occidente e
Oriente, diceva il buon Sahir Talat Akev, Gran Maestro del Grande Oriente di
Turchia, morto due anni fa, dopo aver inaugurato
un’inedita stagione di glasnost, aprendo ai giornalisti la centralissima
sede massonica di via Nuri Ziya. L’uomo della squadra e compasso si rifaceva, non
a caso, a un’opera architettonica. Oggi le bombe hanno interrotto il disgelo.
Bombe, secondo l’agenzia Anadolu, mirate a "obiettivi massonici"
per conto di Al Qaeda e del Fronte islamico dei combattenti dei Grande
Oriente. Oggi grandi ponti, come le Torri o il Pentagono (simboli massonici),
diventano bersagli. Il laicismo muratorio entra nel mirino degli integralismi;
la vecchia teoria della cospirazione pluto-demo-giudeo-massonica
filo-americana spinge per uscire dal letargo, dopo un ventennio di sonno.
Così nessuno rilascia dichiarazioni. Tutti si defilano, parlano solo a patto
di non essere nominati. Nessuno vuole prestarsi nemmeno a fare da intermediario
col nuovo Gran Maestro, Kaya Baksaray, una figura carismatica
che però ultimamente non si fa trovare. "È in riunione", ti dicono.
Fino a un secolo e mezzo fa era solo una storia di ortodossi, cattolici,
ebrei, armeni. Oggi è cambiato tutto. Istanbul formicola di "fratelli" massoni
musulmani. Genuflessioni e grembiulino. Tappeto e compasso. Li trovi tra i
mestieri e le professioni, nei grandi burocrati di Ankara e negli alti ranghi
dell’Armata. Li scopri nella politica e nel business, nel Gran Bazar della
città vecchia, nelle ville blindate di Levant o nei grattacieli di vetro di
Efentepe, il quartiere degli affari internazionali. Hanno in mano l’economia
del Paese. Ed esprimono la voce più progressista dell’Islam.
La Massoneria[...] entra a fondo nella società
civile. E segna la temperatura del Paese. Usciti dal "sonno" in cui li
aveva messi Ataturk che ne apprezzava il laicismo ma non
l’Internazionalismo, i massoni avevano ripreso potere negli anni
Sessanta, esprimendo fior di ministri e un capo di governo. Poi è scoppiata
la "teoria della cospirazione", e la loro vita si è rifatta difficile. Da
qualche anno il clima si è rasserenato di nuovo, e oggi l’ultimo pregiudizio
è caduto, anche nel partito islamico appena sbarcato al governo.
Gente pragmatica, che deve recuperare in fretta il tempo passato lontano
dal potere».
La massoneria turca è una cosa turca. Affonda fin dal tempo ottomano
nella nobiltà - assolutamente locale - delle corporazioni dei mestieri. E
fiorisce dall’Islam medesimo, quello plurale e mistico dei Sufi.
L’obbedienza resta occidentale; c’è stata una loggia agganciata alla base
militare Usa in Turchia e filo-atlantismo dei militari implica, tutti lo dicono,
una presenza massonica “americana” anche nei ranghi dell’Armata.
Ma il resto nasce qui, e solo qui. «Aydin Ugur, professore dell’università di
Bigi, accende la sigaretta e sorride come un califfo davanti alla sua
immensa biblioteca. Sa di condurti in un labirinto in cui ti perderai.
Racconta di Shabbatai Zevi, diciassettesimo secolo, un ebreo mistico così
influente da far ingelosire i rabbini, i quali si rivolsero al Sultano per
toglierselo dalle scatole. Il Sultano gli fece scegliere tra la morte e la conversione
all’Islam. E quando lui scelse di rinnegare, e partì per i Balcani,
ventimila fedeli lo seguirono. Li chiamarono “Donme”, apostati.
Un mondo in bilico tra Islam ed ebraismo, la base di tante sette eretiche e,
indirettamente, della massoneria turca. Il loro quartier generale fu
Salonicco, dove nacque un’élite intraprendente e arti-ottomana. Lì si costituì
uno dei pilastri dei giudaismo mondiale, e da lì partirono i Giovani
Turchi contro il Sultano. Lo stesso padre della patria, Ataturk era dei loro,
veniva da Salonicco. Ma la confraternita degli Apostati non si esaurì con la
nascita della repubblica. Ismail Cem, uno degli ultimi ministri degli esteri
di Ankara, è legato a loro. E come loro lascia sempre un letto libero in casa.
Pronto per il ritorno del profeta Shabbatai. Solo così, seguendo queste storie
di associazioni segrete, puoi capire che le radici del laicismo turco non
sono anticlericali ma, al contrario, mistiche. Stanno dentro l’Islam.
«I massoni? Sono il top dell'ateismo», brontola Ibrahim Baba, un mite
grande vecchio della confraternita dei Mevlevi, l’aristocrazia dei Sufi. Ma
poi ti schiude la porta della Tekke, il Tempio, e ti conduce in un mondo che
pare la fotocopia dei riti muratori. La segretezza di un mondo un po’ sciamanico,
di cui conosci solo il primo livello; un esoterismo ben calato nel
mondo, come nei Templari: le pratiche di iniziazione; i cerimoniali aperti
a donne, cristiani, ebrei; una divinità cercata misticamente, senza ossessioni
catechistiche né di proselitismo; un dio indefinibile "come il profumo
della rosa". E poi gli scambi di baci e abbracci, l’enfasi su "fratellanza e
amore", la densità dei simboli, la minuziosa geometria circolare dei riti.
"Allah Allah" cantano i fratelli seguendo un ritmo carovaniero di pifferi
e tamburi, avanti fino allo sfinimento, in un crescendo liberatorio
turchia, terra di
confine ma anche di
possibile integrazione che lascia esausti in un orgasmo chiamato Wustat.
Succede quando il cuore si ferma - ti dicono - come
nell'amplesso».
E prosegue Rumiz: «Un’antitesi perfetta del fanatismo
wahabita, che non a caso detesta i Sufi (in parallelo
ai massoni) e la loro libera interpretazione del Corano,
mortificando tutto ciò che non è “Il libro”; la musica, la danza, l’estasi,
perfino la storia e il culto dei morti. Un approccio alla fede che ha
fatto presa nel popolo, creando un immaginario antitetico a quello e
ingessato delle moschee. Non a caso il laico Ataturk lasciò ai Sufi, caso
unico tra i movimenti religiosi turchi, il diritto di azione.
Vento forte, nubi nere inghiottono le cime dei grattacieli di Beyoglu,
scavalcano li Corno d’Oro, sfiorano le mezzelune dorate sui minareti di
Santa Sofia, la moschea che fu il più bel tempio della cristianità e oggi
- ci fa notare un "fratello" - resta dedicata alla santità dell’idea più
inter-religiosa che esista. "Sofia" appunto, in greco "saggezza". E spiega
che per capire bisogna scavare ancora, nei labirinti delle confraternite
dei mestieri dell’Islam turco, con la loro struttura caritatevole e di
mutuo soccorso, il loro linguaggio iniziatico da vecchia tecnocrazia, la
nobiltà di mestiere vissuta religiosamente, la Futuwwa, l’etica basata
sulla ricerca del lavoro ben fatto, detta Ahi ’lik. Qualcosa di molto simile
al mondo protestante. I mestieri, le logge, il misticismo. Sono vie
parallele che nell’Islam si intrecciano continuamente, conferma Bruno
Etienne, autore di un libro su Abdelkhader, il massone che
nell’Ottocento guidò la lotta per l'indipendenza algerina. L’Ageria: il
Paese dove negli ultimi anni sono state proprio le corporazioni dei
mestieri a guidare, in tutto il Sud, la resistenza al fondamentalismo
assassino, in una guerra ignorata che ha fatto decine di migliaia di vittime.
Le corporazioni di Allah, prosegue Etienne, sono portatrici di un
Islam pluralista, formano il tessuto connettivo della società civile, specie
là dove lo Stato non arriva. «Lo leggi anche in Corto Maltese», sorride
arguto Etienne».
Mauro Cascio
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