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Latina. Jacques il fatalista. Paolo Poli: «Littoria, la città di Maria Goretti. Anche se alle vergini preferisco le monache e le donne di piacere»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Paolo Poli, a Latina per
portare in scena il suo «Jacques il fatalista» da Denis Diderot...
«Denì. Lui è francese e l'accento va in fondo. In Italia non
abbiamo le tronche. Ed è un limite che paghiamo nelle canzonette
quando dobbiamo tradurre dall'inglese o dal francese». Lei
è laureato in letteratura francese... «E chi se ne frega. Voi siete
laureati? Sì? Ormai hanno studiato tutti. Mi auguro che i libri
siano ancora frequentati, perché con tutte queste trappole, come
questa che avete voi, il ragazzo viene intrallazzato e si dimentica
della grande letteratura che è sempre verde. Questo romanzo
di Diderot è un antiromanzo perché prevede mille interruzioni, si salta
dal palo alla frasca. È una cosa molto moderna. Noi siamo succedanei
del romanticismo e ci sembra che il romanzo sia lui ama lei, lei ama lui,
un amore un po' contrastato e alla fine, come i manzoniani Renzo e Lucia,
si sposano e scappano dal libro. Invece c'è la storia di un viaggio,
perché il settecento fu il secolo del Grand Tour: non bastava farsi una
cultura libresca, bisognava andare sul posto. Ci sono delle storie
di galanteria, i sovrani avevano le loro mantenute. Io interpreterò
anche la parte di una marchesa non più giovane, che viene piantata
dall'amante e si vendicherà facendogli sposare una donna di malaffare.
Donna di piacere, si diceva allora. Si parla vagamente anche dell'aldilà.
Perché Jacques è fatalista? Perché crede nel fato come nella Repubblica Romana
che pareva, per quegli intellettuali, come un esempio da copiare. Perché
sembrava che quella prima drammatica sconfitta storica del Vaticano rappresentasse
al meglio l'idea di Giustizia. Poi arrivò Napoleone e giù aquile e giù gagliardetti.
Del resto, a proposito di Imperi, siamo a Littoria. Terre famose per le paludi.
E poi avete Maria Goretti. Io si sa, è un personaggio che ho frequentato poco
la Goretti. Amo più le donne di piacere e le monache che non le vergini».
A proposito di cattolici, lei fu vittima di uno scandalo che avvenne nel 1967,
quando lei interpretava la parte di Rita da Cascia e ci fu l'allora Ministro
Scalfaro che sospese lo spettacolo... «Una brava persona. Una persona conseguente.
C'era allora la dittatura della Democrazia Cristiana e quindi bisognava dir bene.
Io ho conosciuto don Milani e preti di grande valore». Ma visto che siamo uno stato
laico, e sembra che sulla carta abbiamo rispetto di tutte le religioni, come
fu possibile? «Ma figuriamoci. Era meglio la fine dell'ottocento. Garibaldi prese
Roma al Papa. Ma Garibaldi non era sposato con Anita. Ed era Gran Maestro
della Massoneria. L'Italia è stata fatta dalla Massoneria, via. Solo che prima i Savoia e poi il Papa gliel'hanno portata via. Pensiamo a Mazzini:
poveretto è morto a Pisa col passaporto falso altrimenti quei mascalzoni dei monarchici lo
avrebbero messo in galera. E lo stesso Garibaldi fu umiliato a Teano. Insomma
questi nostri primi eroi dovettero piegarsi piano piano al Papa e ai Savoia. "Obbedisco".
E questo ce lo hanno fatto studiare in tutti i libri di scuola, facendoci
passare la casa regnante come meravigliosa. Per me erano dei ladri e degli assassini.
Ed ora sono finiti nella pubblicità delle olive e dei biscotti».
Lei frequentava casa di Federico Fellini... «Era un uomo generoso, gentile, comprensivo
e amava tutte le minoranze: le donne brutte, le gobbe, le grasse, i froci. Andava
bene tutto per lui. Perché aveva poesia. Illuminava quello che toccava».
Un'ultima domanda. Torniamo a «Jacques il fatalista». È da due anni che lo portate
in giro... «L'Italia è lunga e si protende entro i mari». Ma ci sono spettacoli
che nascono e muoiono. Nell'epoca del Grande Fratello fa piacere sapere che ci sono testi
importanti che resistono... «Sono io che resisto. Ormai mummificato il mio posto
sarebbe a Il Cairo, in un Museo Egizio. E invece non mi fermo. C'è una riscoperta
del teatro hic et nunc. Ci sono le signore che possono mettersi il vestito nuovo
per venirmi a vedere. Come in chiesa. Tra la messa delle cinque del mattino e
quella delle undici con il coro, l'orchestra e i violini c'è una bella differenza. Anche
Gesù Cristo viene più volentieri dentro le specie».
Claudio Ruggiero
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