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Latina. Il lavoro nella società della comunicazione. Domenico De Masi polemizza a distanza con Bruno Tucci: «Che concetto di formazione ha?»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Domenico De Masi,
Preside di Scienze della
Comunicazione a «La Sapienza».
La buona notizia è che secondo lui c'è lavoro per tutti gli studenti, i laureandi
e i già laureati del suo corso di laurea.
«La comunicazione è in continua espansione e potrà accogliere tutti». Questo
il suo concetto, ribadito anche ad un'Assessore al Valore Cultura, Patrizia
Fanti che, proprio introducendo l'odierno incontro del docente con gli
allievi degli istituti superiori di Latina, gli aveva posto la domanda.
Però per l'Ordine dei Giornalisti, e in particolare per il Presidente
dell'Ordine Interregionale del Lazio e Molise, Bruno Tucci, le cose non
stanno esattamente così (vedi ParvapoliS dello scorso 3 ottobre,
nell'articolo riproposto anche qui a lato, nell'approfondimento, ndR). Anche se
poi Tucci il problema della "formazione" giornalistica
nemmeno se lo pone. Un laureato, per Tucci, vale il sedicenne che ha
preso il tesserino seguendo la squadra di calcio del Borgo Santa Maria.
Ironizza De Masi sul presidente dell'Ordine dei Giornalisti: «Se questo signore
ha idee migliori, sul piano dell'offerta
formativa e della crescita culturale e professionale ce le faccia sapere».
De Masi si è poi detto possibilista sul decentramento del suo corso di
laurea in quel di Latina: «Decentrare è un passo necessario: non possiamo
più avere università "monstre" con decine di migliaia di studenti che non
sono in grado di seguire i corsi per la carenza delle infrastrutture (oggi a
Scienze della Comunicazione è considerata "piccola" un'aula da 400
allievi!)" ma ha anche chiarito le difficoltà eventualmente connesse ad uno
spostamento (anche solo in parte) di un corso di laurea come quello in
Scienze della Comunicazione. «È un problema togliere questa facoltà da Roma:
non basta un palazzo, ci vuole anche tutto l'humus che la circonda. Nella
capitale c'è tutto, dai più importanti mass-media alle sedi del governo».
Ma veniamo al tema dell'incontro tenutosi ieri al Palacultura: "Il lavoro
nella società della comunicazione". De Masi ha inizialmente scioccato tutti
i presenti, partendo dal presupposto che "il lavoro non è più così
importante come all'epoca dei vostri genitori e come gli adulti vogliono
farvi credere". Primo boato dei ragazzi presenti in sala...
"... Ma bisogna dargli la giusta importanza, perché ci dà lo stipendio.
Basta un po' di equilibrio, e pensare poi al fatto che in tutte le religioni
esiste un concetto di "paradiso" e che in nessuno di questi esiste il
lavoro".
Dopo un rapido volo d'uccello (anzi, d'angelo, per restare in tema di
paradiso) sull'evoluzione della società, da quella contadina, durata per
settemila anni a quella industriale del 1800-1900 a quella post-industriale
nata dopo il 1945 - e che a tutt'oggi si caratterizza per produrre non più
solo beni materiali, ma immateriali come servizi, informazione e
comunicazione ("Basti pensare al fatto che il potere è passato dalle mani
degli industriali a quelle di chi detiene la comunicazione") - De Masi ha
affrontato le problematiche del cambiamento del lavoro.
«Tutto è molto cambiato, sia per il lavoro vero e proprio, sia per il
mercato internazionale che ha ridistribuito le produzioni in tre grandi
blocchi: in quello che chiamiamo il primo mondo, costituito dai paesi più
avanzati, si producono ormai idee, brevetti, servizi, e non più beni
materiali, che si spostano nel secondo mondo, come ad esempio il Brasile, o
Taiwan, o la Cina. Non dobbiamo quindi preoccuparci se chiude la Fiat intesa
come fabbrica: dovremmo preoccuparci se chiudessero i suoi laboratori. Che
cos'è d'altronde una Ferrari? Un pezzo di metallo, forse? No, una Ferrari è
un'emozione. È questo che produciamo. Cosa produce poi il terzo mondo? Non
hanno nulla da produrre, se non materie prime, o basi militari».
Ma in che modo è cambiato il lavoro di ciascuno di noi? «All'epoca di Marx,
i lavoratori erano divisi in questo modo: il 96% costituivano la forza
lavoro, quella manuale, mentre solo il 4% era rappresentato da lavoratori
creativi. Oggi, in Italia, solo il 18% dei lavoratori sono operai: è il
cervello l'organo che lavora, non più le braccia. Lo stesso tempo libero è
diventato molto più intellettuale, e questo grazie all'aumento della
scolarizzazione ed alla diffusione dei mass-media. I lavori esecutivi
verranno quindi via via affidati solo alle macchine, mentre il lavoro
creativo resterà agli uomini. Un lavoro sempre meno "di ufficio" e sempre
più contaminato dalle ore del tempo libero, quelle in cui vengono le idee».
È il concetto che De Masi, docente di Sociologia del Lavoro, chiama "ozio
creativo".
Andrea Apruzzese
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