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Latina. L'attualità di Giuseppe Mazzini nell'anniversario della morte. Una rilettura del Risorgimento farebbe bene sia a destra che a sinistra

L'anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, avvenuta il 10 marzo 1872, ci riporta alla carta d'identità della nostra storia e delle lotte risorgimentali. Ci riporta anche a tutta una vita da brivido, vita che per quanto colpita da continue sfortune, luttuosi eventi, fallimenti e crisi terribili, giammai crollò e sempre ebbe la forza di riprendere la lotta. Personaggio leggendario, amato e odiato, disprezzato temuto e osannato, Giuseppe Mazzini è l'uomo che consegnò al lutto e alla lotta la sua vita per la libertà, l'unità, l'indipendenza del popolo italiano. La vita perigliosa di Giuseppe Mazzini segna in maniera indelebile anche le alterne vicissitudini delle nostre lotte risorgimentali, i rovesci, i ricominciamenti, le vittorie. Anche gli uomini che nel corso degli anni lo abbandonarono per accostarsi a condizioni politiche di maggiore congruenza e realismo, ossia che abbandonarono per necessità politica l'irrinunciabile presupposto mazziniano del repubblicanesimo, sempre ebbero a riconoscere nell'antico capo e guida la figura principe che ebbe a galvanizzare le coscienze delle forze culturali e politiche italiane ed europee più vive dell'epoca. Pregno di ideali, novello Socrate della riscoperta dell'uomo visto in assoluta inscindibilità fra l'individuo e il cittadino, fra il singolo e il popolo di cui è parte viva e inscindibile, Mazzini non è soltanto un promotore e un organizzatore politico, un artefice di gruppi di diretta azione armata, un instancabile quanto anche e innanzitutto un inguaribile teorico e un puro idealista. Spirito sensibile e dotato di capacità intellettuali ed emotive atte allo sviluppo brillante e compiuto di teorie filosofiche ed educative, Mazzini fu a tal punto pericoloso - non solo per Cavour e per non poche cancellerie europee -, tanto da essere considerato l'avversario numero uno dallo stesso Karl Marx. Infatti, in base a recenti studi d'archivio condotti da alcuni studiosi italiani, Marx scrisse "Il Capitale" per lanciare un affondo contro le teorie politiche mazziniane, teorie che erano anche filosofia politica e prassi organizzativa che si muovevano sul terreno del solidarismo sociale e della definizione del concetto di popolo secondo coordinate assolutamente antitetiche a quelle dello scontro fra classi sociali. Una cosa è dunque il concetto di progresso mazziniano e quello di Dio che si esprime nel movimento della storia umana e in particolare in quello dei popoli di volta in volta corifei e vindici delle libertà, una cosa affatto diversa è la dialettica del materialismo storico e così la fanatica e cieca convinzione di predire con assoluta, scientifica certezza l'avvenire dell'umanità secondo uno schema mono-"maniaco"-categoriale, quello dell'economico proprio a Marx. Educato dalla madre secondo principi di morale austera sino a forme di rigorismo gianseista, Mazzini si liberò presto degli schemi fideistico-confessionali, sicuramente anche in virtù della ricca influenza intellettuale paterna, che era apertamente illuminista. Da questo ricco e variegato retaggio culturale sorse, assieme alle indelebili esperienze che ebbe sin da bambino, una forte e originale impostazione filosofica al tempo stesso politica e pedagogica. È dalla comprensione di questa inesauribile forza intellettuale infatti che nasce anche una capacità di analisi particolare, in grado di scrutare in profondità la realtà delle trasformazioni socio-culturali dell'epoca, e che determina in Mazzini la rivoluzionaria decisione di indicare nell'organizzazione e nei modelli operativi della Carboneria un qualcosa di definitivamente superato. L'agire alla luce del sole, allora, segnerà in Italia e in Europa per tutti i movimenti di tipo nazionale e popolare, risorgimentale appunto, e per quelli che propugnano assetti istituzionali di tipo repubblicano, una via di non ritorno, per cui le attività latomiche costituiranno solo la memoria del passato o la necessaria e temporanea azione di ripiegamento e di maggiore mimetizzazione. Vita da brivido, quella di Mazzini. Itinerante ovunque per l'Europa, senza mai requie, dalla Francia alla Svizzera infine per molti anni a Londra ma con decine e decine di rientri più o meno segreti in Italia e in Europa, ovunque fra fughe e ritorni, sino in Sicilia, e con i compatrioti sparsi fra Malta e il resto d'Europa, sognerà qualcosa che rimarrà sino ad oggi incompiuto, nel processo unitario che mai vedrà riunite alla Madrepatria la Corsica, Malta, Nizza, e che nel secondo dopoguerra ci imporrà, con la disfatta, la perdita de territori tanto cari del confine orientale. Vita da brivido, da vero precorritore dei grandi utilizzatori dei jet, da vero precorritore degli scrittori di romanzi d'azione e dei super-agenti dello spionaggio, Mazzini, sempre pedinato e inseguito dagli agenti segreti sabaudi e di tante altre polizie, non cadde sotto mani di sicari anche perché la sua azione era utile ai progetti di quelli che ricoprivano le cariche ufficiali nei governi interessati, ad iniziare da quello dei Savoia. Questo tipo di incessante dualità di interessi costituisce un altro aspetto del tutto particolare. Se a parte di taluni era gradita l'idea di realizzare un processo unitario della penisola italiana, a parte di costoro era inviso ed era visto come nemico giurato ogni ideale repubblicano e ogni ideale di attenzione ai ceti subalterni e di riforma sociale e a taluni ancora faceva orrore l'idea del Dio visto come progresso dell'umanità, un Dio-Provvidenza totalmente sottratto all'esercizio del potere di un magistero di professione, un Dio immanente e al tempo stesso laicizzato in ogni senso. La religiosità civile e l'idea della rigenerazione della "pianta-uomo" prima ancora che quella della "pianta-cittadino" sono alcune delle più belle immagini del pensiero mazziniano. Lungi peraltro dal voler condensare il suo pensiero e le sue azioni in queste poche righe.
Giuseppe Mazzini è base insostituibile della nostra identità nazionale, senza il suo nome così come senza quello di Garibaldi o del fiero avversario Cavour non possiamo intendere né parlare di Italia: è bene ricordarlo a quanti oggi rimpiangono una delle pagine più nere del ventennio fascista (per altri aspetti a me caro): il terribile lascito del Concordato, vero vulnus del patrimonio sacro delle avite tradizioni risorgimentali, vero vulnus dell'esercizio delle libertà civili. È bene ricordare e vivificare queste cose nei cuori degli italiani che non si fanno trascinare e abbindolare dai più ciechi trasformismi di oggi. È bene ricordare, in giorni tristissimi come quelli che stiamo vivendo, giorni un cui una coalizione di governo arriva culturalmente e sistematicamente a contraffare l'identità storica nazionale sotto il quasi rinato scettro papale, coalizione e forze che tradiscono alla luce del sole il mandato elettorale e, in particolare una, l'enorme, speciale lascito morale che aveva di ricomporre la frattura della storia nazionale della prima metà del ventesimo secolo entro l'idea di una storia condivisa, storia condivisa in cui il periodo fascista vi entra a pieno titolo. Avere rinnegato tutto questo, significa avere rinnegato anche le componenti risorgimentali della genesi di quel movimento e di quel regime. A tutto ossequioso, servile vantaggio della curia temporale dell'oltre Tevere. Non ne faccio colpa alcuna ai cardinali, quanto al vile animo di uomini che galoppano poveri somari e guardano le stelle a notte fonda nel pozzo senza la luce della luna. È per questo che bisogna tornare al Risorgimento, è per questo che bisogna tornare a Mazzini, nell'allungare la mano a quanti in essi si ritrovano, nel ricomporre con la storia unitarie e con l'Europa delle aspirazioni e delle future generazioni la frattura. Mazzini dette coscienza anche agli ebrei, ma mai Mazzini avrebbe acconsentito a fare a fette la storia, i fatti e i misfatti, come ancora si fa tra Rasella e l'Ardeatina, nella tradita "Roma città aperta". E rendere giustizia nel vero anche ai papi, senza preconcetti e ancora nel vero, quando loro spetta. Non capire tutto questo, significa ancora una volta allungare il braccio invano a quanti si richiamano agli ideali di Mazzini e poi si travolgono nel loro stesso livore, nell'odio di parte, nella fantasia di guerre vinte e di nazioni liberate. Il popolo e la Patria, anche nella disfatta, non nel coprire i misfatti e gli scannamenti, non nelle pregiudiziali ideoligiche, non nel puro fuoco antifascista che permise tutto ai partigiani rossi che combattevano per Mosca e non per il nostro popolo. Di questo, azionisti, repubblicani e moderati ai quali ancora allungo la mano devono rispondere, alla loro coscienza. È finita la storia fatta con le biografie di chi visse fra gli anni venti e oggi, è finita la biografia miope e umanamente solo in parte giustificabile. Randolfo Pacciardi lo ha dimostrato. Leo Valiani, fanatico leader antifascista lo ha scritto quasi alla fine della sua vita: erano, costituivano delle minoranze rispetto al popolo italiano. Smettiamola dunque, perché i puri antifascisti e i moderati per tanti anni hanno così compiuto anche i loro misfatti, in un'Italia antifascista più "fascista" di prima, ad iniziare dal rendersi assolutamente subalterni culturalmente, politicamente-elettoralmente rispetto ai comunisti. Dove, la loro vittoria?
È tempo dunque, è proprio tempo, di ritornare a Mazzini, ad iniziare da quanti nei colli sacri di Roma oggi rappresentano le istituzioni repubblicane-istituzioni e Carta in cui qualche certa parola dai costituenti stessi fu scritta fra le norme finali e transitorie. Rispettiamo allora i codici fondamentali della laicità dello Stato, dell'unità e unicità dello Stato, della unicità dalla storia Patria, della giustizia che attendono ancora certe vittime e certi vinti, della giusta doverosa severità che aspettiamo ancora nei confronti dei terroristi fuggiti e dei terroristi non pentiti e dei condannati che non richiedono di loro pugno la grazia, rispettiamo la vita violata prima di quella di chi ha violato la vita altrui. Oggi l'Italia ne ha bisogno più che mai, mentre la non morta prima Repubblica implode nell'impazzimento e nelle frenesie pseudo-federaliste e nelle orge di dirigismo di sapore stalinista. Il pensiero e l'azione di Giuseppe Mazzini sono traccia indelebile nel tempo, nel cielo, nella coscienza.

Domenico Cambareri


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