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Latina. La sconfitta dei "pacifinti". In piazza scendono solo in 250 mila. E riescono pure a rompere polemicamente con i Democratici di Sinistra

Peggio di così forse non poteva andare. I "pacifinti" in piazza sono solo 250000 secondo la Questura. Sono il lato più integralista, a tratti oscuro e violento, antiamerikano col kappa, rigorosamente no global, verde ed "equo e solidale". E per una volta sono stati sconfessati anche dai Democratici di Sinistra che prendono coscienza che i sanculotti dell'età dell'acquario sono tanto scialbi quanto ingovernabili. «Io non ero fra di voi» - ha detto Daniele Capezzone, segretario nazionale dei Radicali Italiani rivolto ai pochi manifestanti - «non ho marciato sotto le bandiere che avete scelto; non ho gridato il vostro “No a la guerra y al terror". Vedete, tra poco più di un mese, in Italia, ci saranno altre marce: quelle del 25 aprile, del giorno - cioè - in cui si ricorda e si festeggia la Liberazione, l’uscita dalla dittatura fascista e l’avvio del cammino verso la (sperata) conquista di uno stato repubblicano e democratico. Bene, se l’antifascismo (e, beninteso, l’anticomunismo, l’antitotalitarismo: altrimenti, vale la profezia di Orwell sulle sinistre europee "antifasciste ma non antitotalitarie") deve rappresentare una guida politica per l’oggi, un modo concreto di essere antifascisti anche adesso è quello di lottare perché altri 25 aprile siano possibili: un 25 aprile per i cubani, per i siriani, per gli iraniani, per i vietnamiti, per i nord-coreani, per i cinesi, per i ceceni. Voi continuate, come in un esorcismo collettivo, a gridare “pace, pace, pace”. Ma che cos’è la pace? “Pace” non è, non può essere solo “assenza di guerra”; “pace” può esservi solo in presenza di diritti, di libertà, di democrazia. E allora, l’atto di pace e di antifascismo da organizzare e da compiere è quello di aiutare i popoli oppressi a liberarsi; è quello di aiutare una parte ancora troppo grande degli abitanti del pianeta a scoprire e a costruire per sé ciò che, finora, le è stato ferocemente negato. Io milito in un movimento politico che, con Marco Pannella ed Emma Bonino, si è battuto in modo concreto e ragionevole per costruire un’alternativa all’intervento militare in Iraq, attraverso una soluzione sciaguratamente lasciata cadere da tanti, da troppi. Ed era, invece, ipotesi praticabile, praticabilissima: come l’esilio del dittatore liberiano (perseguito e praticato con successo) si è incaricato di dimostrare solo poche settimane più tardi. Ma vogliamo ammetterlo o no che in Irak (pur con tutti gli immensi problemi che tuttora esistono; pur con i gravi errori anche commessi dalla Coalizione angloamericana - colpevolmente lasciata sola da quasi tutti, in questi mesi-), l’anno scorso si è realizzato un 25 aprile? Da radicali, lavoriamo per una Organizzazione Mondiale della Democrazia che riporti l’Onu allo spirito e alla lettera della sua carta fondativa. Non si tratta di "esportare" qualcosa. Si tratta, piuttosto, di rimuovere in tutto il mondo gli ostacoli che si frappongono alla possibilità, per ogni donna e per ogni uomo, di vedere effettivamente realizzato il proprio diritto individuale alla libertà e alla democrazia. Nessuna esportazione, dunque, ma - questo sì - la creazione delle condizioni per cui ogni popolo ed ogni individuo possa scegliere quel che, finora senza eccezioni, è stato sempre scelto dai popoli e dagli individui che hanno potuto decidere liberamente: i valori universali dell’umanità e dell’umanesimo liberale. Ma non si possono lasciare soli, in questa sfida, gli Stati Uniti d’America e il Regno Unito: non si può pensare che questa impresa si realizzi con il sangue - e i soldi - degli americani e degli inglesi, e che il mondo intero sia "abbonato", per qualche misteriosa ragione, a vedersi "donato", di volta in volta, il proprio nuovo 25 aprile. In particolare, l’Europa non può continuare, dinanzi a crisi che non sa, non può o non vuole affrontare, a cavarsela facendo degli americani il capro espiatorio della propria impotenza: così, se gli Usa intervengono, sono "imperialisti" o "cacciatori di petrolio"; se invece non lo fanno, sono "isolazionisti" o, magari, disinteressati solo "perché non c’è petrolio da conquistare". Allora, qual è la verità, amici "pacifisti"? Vogliamo la pace o vogliamo solo stare in pace, tranquilli, senza che nessuno disturbi il nostro quieto vivere? Basta saperlo, ma occorre - anche - tenere presente che il confine tra il quieto vivere e un tremendo morire va facendosi sempre più labile».

Mauro Cascio


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