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Latina. Vecchi e nuovi media e gli "italiani trasmessi". Giuseppe Patota: «La tivvù ha spesso un linguaggio livellato. Il Web è rivoluzionario»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Giuseppe Patota, docente di
Storia della lingua italiana all'Università
"La Sapienza" di Roma.
Lei si è spesso occupato di "italiano trasmesso": che cosa
vuol dire? «Non esiste una sola forma di italiano. E io non
parla di "italiano trasmesso", al singolare, ma di "italiani
trasmessi", al plurale. Quando noi pensiamo all'italiano, pensiamo
ad un italiano parlato oppure ad un italiano scritto. Eppure, se ci
pensate, gli "italiani trasmessi" rappresentano delle varietà
linguistiche che si collocano a metà strada tra la lingua parlata
e la lingua scritta. Hanno delle caratteristiche del parlato.
Pensiamo alla televisione, che prevede un processo comunicativo
in qualche modo ibrido. Ha forti somiglianze con il linguaggio
scritto, eppure prevede una sistematizzazione del discorso
che spesso per esempio il parlare a braccio non ha. Inoltre,
come nello scritto, se io parlo in tivvù mi rivolgo ad una platea
di destinatari del processo comunicativo molto vasta.
Questo ha delle conseguenze importanti. Giusto per citarne una,
possiamo dire che gli "italiani trasmessi" sono spesso degli italiani
scritti per essere parlati». Spesso si ritiene che il linguaggio
televisivo sia in qualche modo piatto e che si ponga rispetto all'uso
corretto della lingua in maniera del tutto problematica. La standardizzazione
e il livellamento al basso, dovuto anche al basso profilo del target
a cui ci si rivolge, sono così dannosi? «La televisione non è stata
sempre così. E bisogna distinguere. Perché non tutte le televisioni
sono così. Oggi possiamo scegliere tra programmi di qualità molto bassa
(spesso nelle fasce dove è alto l'ascolto, ndR), e programmi di buona
fattura. La stessa cosa per quanto riguarda la loro fisionomia
linguistica. Ci sono sono programmi che usano un italiano eccellente.
Ed eccellente non vuol dire difficile. Può anche essere molto semplice,
chiaro ma efficace. Pensate ai programmi di Piero Angela. La qualità
è direttamente proporzionale all'uso della lingua. Poi, ci sono i
programmi spazzatura ricchi di frasi fatte, ripetizione e banalità linguistiche:
pensate ad espressioni del tipo "attimino", "alla grande", "questa cosa qui",
"che problema c'è?", "mi intriga". Lasciando da parte la violenza e la volgarità.
Non è un giudizio moralistico. È solo una questione di scarsa educazione
linguistica e, più in generale, di scarsa cultura». Da una ricerca
effettuata recentemente dalla facoltà di Scienze di Comunicazione dell'Università
"La Sapienza" è risultato che gli ascolti televisivi sono in calo...
Non ci sono dati corposi e significativi ma è una tendenza comunque di rilievo.
E questo può anche essere addebitato alla scarsa offerta qualitativa e formativa
della televisione. Alla luce di nuove forme di comunicazione di massa,
pensiamo sì ad Internet (e una testata multimediale come la nostra non
può non pensarci), ma anche ai Blog o alle Street Tv, lei non ritiene
che il linguaggio si possa alla fine addirittura arricchire?
«La risposta è obbligata. Io penso che il grande serbatoio della comunicazione
sia rappresentato dalla Rete. Da Internet. O Internèt, come dice qualcuno senza
sbagliare. È un linguaggio moderno, al passo coi tempi e che non sembra
avere quelle forti limitazioni che abbiamo visto caratterizzare il linguaggio
televisivo».
Glauco Di Mambro
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