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Latina. La sconfitta dei "pacifinti". Francesco Pullia: «Farebbero bene a leggersi Amartya Sen». E su Yassin: «Per loro è quasi un martire»

«Sicuramente non lo avranno letto o, comunque, lo snobberanno coloro che sabato si sono ritrovati a marciare, e anche un po’ marcire, dietro le solite parole d’ordine del pacifismo unilaterale. Eppure l’ultimo libro dell’economista indiano Amartya Sen, “La democrazia degli altri” (sottotitolo “perché la libertà non è un’invenzione dell’Occidente”), appena pubblicato da Mondadori, dovrebbe essere attentamente meditato non soltanto da chi si riconosce in una politica liberale ma anche, e soprattutto, dagli assertori di quel terzomondismo, profondamente razzista e reazionario, per il quale la democrazia sarebbe un lusso borghese che mal si addice ai paesi in via di sviluppo». Scrive Francesco Pullia, del circolo di ispirazione liberale Ernesto Rossi: «In netto contrasto con chi ritiene legittimo abbandonare ad una realtà di sangue e sopraffazione gli abitanti di stati asiatici o africani, l’autore, premio Nobel nel 1998, afferma a chiare lettere l’universalità della democrazia e riconosce nella sua globalizzazione “la più grande sfida dei nostri tempi”. L’aspirazione ad una società fondata sul rispetto delle libertà individuali accomuna i popoli dell’intero pianeta. Dove queste libertà vengono meno lo sviluppo è notevolmente ritardato, se non addirittura arrestato. I drammatici fatti dell’11 settembre 2001 e, a maggior ragione, quelli dello scorso 11 marzo smentiscono, in questo senso, chi, con grande superficialità, ha sostenuto la fragile tesi di uno scontro tra civiltà. La lotta in atto non è, infatti, tra culture differenti, ma tra chi crede nell’estensione territoriale della democrazia liberale e chi, invece, vuole ad ogni costo intralciare questo processo perché ben consapevole di perdere privilegi acquisiti con regimi autoritari. La democrazia, intesa non come governo di una maggioranza ma come garanzia dei diritti inalienabili dell’individuo, primo tra tutti quello ad essere correttamente informato per potere poi consapevolmente effettuare scelte, è l’unico vero antidoto all’indigenza, alle carestie, ai disastri economici e sociali ed è elemento costitutivo dello sviluppo. Non si tratta di una prerogativa, derivante dal modello ateniese, esclusivamente occidentale. La si riscontra, infatti, anche nella storia dell’India, dell’Iran, dell’antica Cina, della Turchia, in una tradizione di tolleranza e dialogo. Diversi sono i casi citati da Sen: dal sistema adottato nel III secolo a. C. da Ashoka, imperatore influenzato nella sua visione politica dall’equanimità buddista, a quello attuato alla fine del XVI dal moghul Akbar che pose al centro della propria azione la partecipazione popolare e l’incentivazione all’aperto confronto tra cittadini. “Quando l’India”, scrive l’economista, “raggiunse l’indipendenza nel 1947, le discussioni politiche che portarono a una costituzione pienamente democratica e che la resero la più grande democrazia del XX secolo, non si riferirono soltanto alle esperienze occidentali ma si richiamarono anche alle stesse tradizioni indiane”. In altri termini, ad essere innaturale in Asia, in Medio Oriente, in Africa non è la democrazia ma il totalitarismo (sia nella versione fondamentalista che nella variante cinese o alla Saddam). Ecco perché è profondamente errato e disonesto far leva sul clima d’incertezza in cui, in questa fase di transizione, versa l’Iraq per generare sfiducia sulla necessità di creare sempre e in ogni luogo democrazia. Sen è molto chiaro quando invita a “fornire un sostegno globale alla lotta per la democrazia in tutto il mondo”. Come dire che la risposta al terrorismo passa anche attraverso la messa in moto a pieno ritmo di un’organizzazione mondiale delle democrazie». Ed è quanto i "pacifinti" di estrema sinistra ancora fanno finta di non capire. Ed i liberali pontini hanno preso infine posizione anche sull'operazione di Israele: «La finta indignazione di molti, e dei pacifinti, non può che offendere chiunque sia dotato di un minimo di buon senso e corre. Finalmente si colpisce a cuore il terrorismo, si colpisce il primo degli assassini e terroristi palestinesi. E per qualcuno l'eccessiva irruenza di Israele nella sua difesa basta per far diventare lo sceicco di Hamas quasi un martire».

Mauro Cascio


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