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Latina. La Città possibile. Fulvio Scaparro: «Le campagne di crescita e di sensibilizzazione non sempre si possono affidare alla stampa e ai media»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Fulvio Scaparro, già docente di Psicopedagogia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano, saggista ed opinionista del Corriere della Sera. Scaparro ha partecipato come relatore al convegno su «La città dell'Uomo» organizzato dal Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani, la Massoneria Italiana, a margine della Gran Loggia. «Chiunque sia vissuto abbastanza a lungo, almeno questo lo ha imparato: vivere bene fa bene. Il problema sta nel capirci su cosa intendiamo per "vivere bene" visto che è ancora diffusa l’errata opinione che sia sufficiente avere danaro e potere per "star bene". Le cose non stanno così: "vivere bene" vuol dire "star bene con noi stessi e con gli altri", portare in mezzo agli altri i risultati di un lungo lavoro - può durare tutta una vita - diretto a distinguere ciò che conta da ciò che è superfluo o addirittura dannoso. Vuol dire imparare a vivere insieme agli altri impostando le nostre relazioni, per quanto possibile, sulla base di scambi costruttivi. In altri termini, non solo "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" ma anche "fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te"; essere convinti che la vita umana è preziosa dal primo all’ultimo istante della nostra esistenza. Ma più che parole occorrono fatti e scelte. Investire per migliorare le condizioni della convivenza urbana non è una scelta come un’altra. Questi investimenti producono interessi altissimi in termini di pacificazione delle relazioni tra i cittadini, di serenità individuale, di rispetto reciproco, di voglia di vivere, impegnarsi, progettare e sognare. Alla base di questo "sogno ragionevole" che tende a trasformare i centri urbani e a renderli meno ostili nei confronti dei cittadini più fragili c’è, io credo, il concetto di "familiarità" cioè della confidenza che ci deriva dalla consuetudine e dalla dimestichezza con un ambiente che abbiamo avuto il tempo di esplorare e conoscere e nei confronti del quale abbiamo stabilito relazioni anche affettive. La necessità e l’utilità di "familiarizzarsi" è del tutto evidente nei bambini che, prima di spingersi ad esplorare il nuovo, hanno necessità di una base sicura da cui partire e a cui, se del caso, ritornare. Ma anche negli anziani torna prepotente, con il passare degli anni, questa spinta a legarsi a ciò che è "familiare" e, proprio per questo, rassicurante. Chi non è più giovane e non ancora vecchio si avventura spesso senza timori in terreni nuovi e inesplorati, è più propenso ad accettare il cambiamento, crede addirittura che si possa e si debba vivere senza troppi legami di cuore e di cervello. Ma non è così per gli anziani che non amano troppo i cambiamenti repentini che non consentono loro il tempo di "familiarizzarsi"». Lei quindi insiste anche non solo sull'importanza degli anziani quanto sull'importanza di inserire bene gli anziani come risorse in un contesto di "città ideale" e "città possibile". Lei però scrive anche quotidianamente sul media cartaceo più diffuso in Italia. Che ruolo ha oggi la stampa in campagne che possiamo definire di crescita sociale e di sensibilizzazione? «Purtroppo devo dire che l'incidenza è assai relativa. Tra soggetto ed oggetto della comunicazione c'è un muro spesso invalicabile fatto di indifferenza ed impermeabilità alle notizie».

Andrea Apruzzese

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