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Roma. Il cielo tagliato. Due mondi e due culture raccontati da Gianni Guardigli e Luciano Melchionna con una finestra e un ripiano di legno

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Gianni Guardigli ed il regista pontino Luciano Melchionna. In scena al Teatro Belli di Trastevere, fino all'11 aprile "Il cielo tagliato". Una madre ed una figlia da una parte, due sorelle dall'altra: dialoghi serrati, intercalati da squarci musicali che irrompono nella nostra coscienza. Due mondi e due culture (Israele e Palestina) apparentemente lontani eppure divisi soltanto da una finestra-ripiano in legno girevole, che all'occorrenza si trasforma in letto (luogo d'intimità fisiche e verbali) o in reticolato (luogo di divisione e guerra), secondo la bellissima intuizione scenica del regista. Un tempo non tanto lontano c'era la guerra fredda che divideva due mondi con ideologie contrapposte, l'est e l'ovest, materializzate con l'erezione del Muro di Berlino. La scrittrice della Germania dell'Est, Christa Wolf, trasponeva il tutto artisticamente ne "Il cielo diviso'', libro-culto che ha fatto riflettere intere generazioni al di là ed al di qua del muro, sul rispetto e sulla coesistenza di valori culturali, religiosi e politici differenti. Se la guerra fredda dava adito ad un filone romantico-avventuroso infarcito di storie di spionaggio e di amori contrastati, il cielo di questo terzo millennio, per l'escalation drammatica degli avvenimenti ai quali assistiamo quotidianamente, supera la divisione e diventa in modo crasso tagliato. Il drammaturgo Gianni Guardigli, da sempre attento a cogliere le sfaccettature psicologiche conseguenti agli eventi storici ('Erinnerung', 'Sotto Berlino', 'Le Luci di Algeri') ed abile adattatore teatrale di testi letterari ('Gelo' , 'Notturno indiano') , in questa sua ultima fatica teatrale si concentra sulla continua tensione emotiva a cui sono sottoposti israeliani e palestinesi, e lo fa in maniera 'minimalista', non ponendo affatto l'accento sulle ragioni politiche, bensì evidenziando il trionfo della quotidianità: bastano un tavolo ed un cesto di frutta, un bollitore per l'acqua ed un letto a creare dialoghi intimi tra persone care, a convogliare i drammi personali nella sfera familiare e di due popoli. Pur nel raggelamento e nella rarefazione dei sentimenti, il filo della speranza diventa parte indivisibile del fato umano, si alimenta grazie alla dimensione 'altra' ed alle aspirazioni di ogni individuo. E così, tra le macerie ed i fumi soffocanti si ha anche tempo per ammirare la beltà dei profili dei tetti, tra le crepe e le fessure degli intonaci l'occhio si posa a scrutare ammirato la mirabile e misteriosa tessitura della tela del ragno, ed è altrettanto bello confondersi al supermercato tra la gente, sottomettersi con affetto ai rituali quotidiani pur se l'imponderabile è sempre in agguato. La compatta regia di Luciano Melchionna enfatizza i noduli espressivi, due sole attrici sul palco ad impersonare quattro personaggi: molto brave Valentina Ghiglia ed Alessandra Muccioli che ben si adattano ai repentini cambi di scena - ed umorali - a cui vengono sottoposte, rivelando il magico potere seduttivo del teatro, la sua intima essenza: basta un semplice panno per cambiare un volto ed un'identità, per evocare un altro dramma ed un'altra psicologia, sì che lo spettatore viene sempre stimolato a confrontarsi continuamente con due situazioni che, pur nella loro diversità, sono contigue per l'universalità dei sentimenti. Ritmo fluido e serrato, dialoghi pregni di valenza ben sottolineati da rivoli musicali seducenti ed ammalianti, scelti con cura da Riccardo Regoli. Uno spettacolo difficile da dimenticare, che s'insinua tra le pieghe della nostra affannosa esistenza in maniera viscerale.

Claudio Ruggiero

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