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Latina. La Città negata. Angela Gregorini: «Zingari in città e le immagini di Rom e di gagé: se a raccontare l'emarginazione è il cinema»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Angela Gregorini. Laureata in lettere moderne (Università di Firenze) e storia orientale (Università di Bologna), è docente ricercatore presso l’IRRE (Istituto Regionale di Ricerca Educativa) delle Marche, per il quale coordina il "Piano nazionale per la promozione della didattica del linguaggio cinematografico e audiovisivo nella scuola" promosso dal MIUR (Ministero Istruzione, Università, Ricerca) e, in collaborazione con la Facoltà di Psicologia dell’Università di Firenze, la ricerca interdisciplinare "Viaggi orientali, Arti performative, Rappresentazione visiva". Lavora da molti anni sui temi dell’antropologia della comunicazione visiva, con particolare riferimento all’uso delle tecniche audiovisive in contesti multietnici. Anche la Gregorini ha portato il suo contributo in occasione della tre giorni di convegni a margine della Gran Loggia di Rimini della Massoneria Italiana (il Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani). «Il cinema, come il viaggio, è dispositivo conoscitivo e formativo d’elezione: strumento di conoscenza e al tempo stesso di trasformazione della conoscenza, esso contribuisce a generare, perpetuare, cristallizzare immagini stereotipate come pure a costruire, modificare, diffondere visioni e sguardi che si nutrono d’alterità riconoscendo ad essa il diritto ad una "irriducibile differenza". È il caso dei film dedicati agli zingari, alle innumerevoli versioni della Carmen, alle tante oleografiche figure di "gitani" e di "tzigani" di cui è costellata la storia del cinema sin dalle sue origini; ma è anche il caso degli ancor rari ma preziosi frammenti di cinema nomade, che capta, cattura e liberamente restituisce storie di incontri e di incroci, di cambi e di scambi, tra zingari e non zingari: sulle strade che portano in città e da essa si dipartono, ai margini delle città e nelle sue periferie, sulle sue arterie, dentro il suo cuore».

Andrea Apruzzese

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