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Latina. La Città dell'Uomo, la Città di Dio. Mario Miegge: «La religione è una realtà ambigua dove l'ottimo si può tramutare facilmente in pessimo»

«Le religioni sono una realtà ambigua, in cui frequentemente l’ottimo si capovolge in pessimo». È quanto ha sostenuto Mario Miegge - professore emerito nell’Università di Ferrara, dove tiene corsi di Filosofia delle religioni - nel corso del convegno sulla "Città dell'Uomo" a margine della Gran Loggia della Massoneria Italiana. «Ai fini di un dialogo inter-religioso (sicuramente utile nella presente situazione del mondo) è dunque opportuno che ogni raggruppamento confessionale, prima di denunziare i “demoni” altrui, faccia i conti con quelli che stanno in casa propria. Per esempio, le “religioni del Libro” sono sempre esposte al rischio di attenuare o sopprimere la differenza e la distanza tra la “città dell’uomo” e la “città di Dio”, imponendo al mondo qualche forma di Legge divina. Nel campo protestante oggi vi è una palese divisione: da una parte stanno le principali chiese sorte dalla Riforma che, nel corso del secolo XX, hanno percorso il cammino ecumenico insieme alle chiese ortodosse (le più antiche della cristianità) ed alla chiesa anglicana, dando vita al Consiglio Mondiale delle Chiese; dall’altra parte stanno i gruppi fondamentalisti, diffusi ed influenti in particolare negli Stati Uniti d’America. Per quanto riguarda la “città dell’uomo”, a partire dalla Riforma il concetto di vocazione ha dato un senso nuovo alla attività dei fedeli, attribuendo eguale dignità ad ogni compito professionale. Nella corrente del protestantesimo che ha avuto origine nelle città-stato di Zurigo e Ginevra le “vocazioni” si esercitano in un quadro di forte controllo reciproco. Pertanto, nella gestione della vita pubblica, l’agire collegiale si contrappone ad ogni forma di potere monocratico o carismatico. Le austere “repubbliche riformate” sono state però inclini a rappresentare se stesse come un Popolo Eletto da Dio. I loro eredi, divenuti potenti nel mondo, hanno tendenza ad attribuire alle proprie imprese la “gloria” che va data “a Dio soltanto” (Soli Deo gloria)».
Nella foto un momento della Gran Loggia.

Andrea Apruzzese


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