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Latina. Battisti o non Battisti. Antonio Pennacchi su La Provincia: «Quei morti li portiamo sulla coscienza tutti. Anche gli "atlantici" liberali»
Nuovo intervento sul caso Battisti di Antonio Pennacchi, sul quotidiano La Provincia.
«Domenica scorsa, da queste colonne, Ferdinando Parisella forniva la sua testimonianza sugli anni di piombo. Diceva,
in sostanza: "Cesare Battisti è un delinquente, un assassino, e deve solo andare in galera, non ce ne frega niente
che è uno scrittore; io sono di destra, sono di An, negli anni 70 stavo nel Msi; ero un ragazzo, diciassettenne,
volevo solo fare politica, invece mi sono trovato in mezzo alle pallottole, ma come bersaglio, non come tiratore,
e ci hanno ammazzato i fratelli Mattei e il loro assassino è ancora libero in Brasile; poi ci hanno ammazzato
Sergio Ramelli, Zicchieri, Bigonzetti, Ciavatta, Recchioni, Giaquinto, Mantakas, Di Nella; io volevo solo fare
politica". Detta così, non c’è niente da eccepire. La realtà, però, non fu esattamente quella che racconta
Ferdinando Parisella. La realtà fu un pochino più complessa, ed anche più drammatica. La sua è una testimonianza,
e ognuno di noi - anche in perfetta buona fede - in sede di testimonianza non riesce a restituire che
solo una porzione del reale, mai il reale nella sua interezza. Perfino negli incidenti stradali, quando
vai a sentire i testimoni, ognuno ha visto una cosa diversa: "La macchina veniva di là, no da quell’altra parte;
era ferma, andava forte, andava piano". Parisella, per esempio, fa solo l’elenco dei morti suoi. Ciò non significa
che siano per questo meno luttuosi e dolorosi. Lo sono ad abundantiam. Però ci sono pure i morti miei - un
elenco molto più numeroso - e quello che sarebbe ora di fare è di smettere di rivendicarli come miei o tuoi e
considerarli invece, nel rispetto che si deve ai morti, tutti ugualmente e dolorosamente nostri.
Non entro nello specifico del cosiddetto "atlantismo" e delle bombe, ma certo se si prescinde da Piazza Fontana
non si può comprendere tutto ciò che è successo dopo. Non entro nemmeno nello specifico dei processi e dei crimini -
veri o presunti - del nostro conterraneo Cesare Battisti (lui peraltro si professa innocente e Graziano Lanzidei -
in una nota su ParvapoliS - ricorda come, ai tempi del processo, fu Amnesty International a denunciare che
alcune testimonianze a suo carico sarebbero state ottenute con "ceffoni, secchi d’acqua gelata rovesciati in testa,
peli dello scroto bruciacchiati, giorni di isolamento" e ricorda anche che gli atti processuali attestano
come il ragazzo, tuttora sulla sedia a rotelle, venisse ferito incidentalmente dal padre), non mi interessa appurare
fino a che punto è più o meno personalmente responsabile. Potrei dire a Parisella: "Sono d’accordo, pure io volevo
fare solo politica, ho fatto sì e no a cazzotti, come te: Battisti è un criminale, non c’entro". Ma non è così.
Il mio cazzotto e il tuo, in ogni caso, erano dentro un contesto complessivo di generalizzazione totale della
violenza politica, in cui quelli che sparavano erano solo l’ultimo anello. Io e te stavamo al primo
(anzi, stavamo al secondo: al primo c’erano quelli che stavano col culo al caldo - quelli contro gli opposti
estremismi - beneficiari diretti delle bombe e delle stragi), per ognuno che sparava ce n’erano migliaia che
davano - o prendevano - cazzotti. Loro erano espressione di una volontà più o meno collettiva. Era "guerra civile" compa’
(e anche tu l’hai fatta, "tu" inteso come fasci di Latina, impedendo per esempio agli studenti "rossi" di quattordici
o quindici anni - come racconta Paolo Bortolotto su ParvapoliS - di distribuire i volantini davanti alle scuole, o
aggredendo un militante di Lotta Continua che poi perse la vista), non c’erano "angeli" da nessuna parte. Forse
quella guerra sarebbe il caso di dichiararla finita. Ma quando si finisce una guerra si liberano i prigionieri,
non si continua a chiedere vendetta per i propri morti. Perché sennò ognuno la chiede per i suoi. E ricominciamo
un’altra volta.
L’altro giorno, a Nassiriya, un bersagliere italiano deve avere ucciso - in mezzo a quindici miliziani - una
donna ed un bambino. Io non credo che nessuno pensi, quando torna, di fargli il processo e sbatterlo in galera.
Ferdina’, quei morti - parlo dei "nostri", ma pure degli iracheni - li portiamo sulla coscienza tutti, non solo
chi ha sparato. (Ma soprattutto li portano gli "atlantici", dai Dc ai radicali)».
Mauro Cascio
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