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Latina. Iraq. Maurizio Calvi: «C'è un errore di fondo su questa situazione. Quella sorta di sindrome da "Little Big Horn" che si è creata»
Il senatore Maurizio Calvi, Presidente del CeAS, Centro Alti Studi per
la
Lotta al Terrorismo e alla Violenza Politica, in una dichiarazione
diramata alla stampa nazionale ed estera torna ad esaminare la
situazione
irachena, analizzando le cause che l'hanno determinata, sforzandosi di
indicare possibili e percorribili vie d'uscita.
«La situazione che si è venuta a creare in Iraq - afferma il senatore
Maurizio Calvi - è figlia dell'errore di fondo, dovuto ad una sorta di
sindrome da "Little Big Horn", di avere confuso il fenomeno terrorismo
con
il regime iracheno, più in generale con i regimi dei cosiddetti "stati
canaglia", e di poterlo debellare rovesciando tali regimi ed instaurando
al loro posto sistemi democratici sul modello occidentale. L'Iraq era
solo
il primo di una lista, stilata dai neoconservatori statunitensi, di
stati
che si sarebbero dovuti colpire in successione nell'intento di debellare
il terrorismo internazionale di matrice islamica».
«Questa sindrome, ingenerata dall'attacco alle "Torri Gemelle" dell'11
settembre 2001, - prosegue il Presidente del CeAS - è tipica della
cultura
statunitense, non solo di quella storica del pionierismo, ma in modo
altrettanto radicato di quella attuale, che porta, soprattutto i
neoconservatori, ad isolarsi dal resto mondo, con una "vecchia Europa"
ritenuta debole ed imbelle, con le Nazioni Unite considerate un inutile
fardello, con le rimanenti Nazioni ritenute arretrate ed oscurantiste,
se
non veri e propri stati canaglia».
«Inoltre, la cultura statunitense ha il mito della tecnologia e questo -
puntualizza Maurizio Calvi - è stato catastrofico per l'intelligence,
dove
contano gli uomini e i metodi tradizionali, che l'elettronica e
l'informatica, come tragicamente dimostrato dall'11 settembre, non sono
in
grado di eguagliare. Bisogna cambiare approccio.»
«Qual'è allora la soluzione - si chiede il senatore Maurizio Calvi,
Presidente del CeAS, - per combattere un fenomeno, come il terrorismo
contemporaneo, imprevedibile e mutevole? Dobbiamo imparare dai
terroristi,
studiandone i metodi e le strategie. Dobbiamo essere in grado di
bloccare
la loro azione di propaganda, di proselitismo, di reclutamento, capendo
il
loro modo di pensare e di agire e le loro tecniche di comunicazione
volte
a costruire il consenso intorno ad essi tra le masse a cui si rivolgono.
L'approccio attuale ci lascia in perenne ritardo. I terroristi
colpiscono
sempre bersagli "morbidi" ed indifesi. Siccome è impossibile rendere
impenetrabili tutti i potenziali bersagli, l'intelligence rischia di
rimanere costantemente indietro di un bersaglio, se non cambia
radicalmente metodo e torna a rivalutare i tradizionali metodi
imperniati
sugli uomini e sulle loro capacità, comprese quelle di infiltrarsi nelle
organizzazioni da monitorare».
Il controspionaggio resta l'approccio che a lungo termine può portare
migliori risultati.
Andrea Apruzzese
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