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Roma. ItaliAfrica. Max Gazzé: «Io non posso accettare che un paese con grandi risorse culturali sia così umiliato dal debito pubblico...»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Max Gazzé. Musica ed impegno che vuol dire? «Guardate, io l'"impegno" l'ho vissuto da subito. Così come l'amicizia con gli amici africani. Io ho amato anche la loro cultura musicale. Pensiamo al misticismo del Senegal, e alla musica in qualche modo sacra. Il settanario viene in genere associato all'oriente, o a quelle correnti così importanti del nostro patrimonio tradizionale occidentale. Ma è noto anche a loro, che con le gerarchie dei jambè, lo rappresentano, indicandone anche la direzionalità. Il problema africano è molto serio se si parla di armi, di distribuzione gratuita di medicinali. Io non posso accettare che un paese con grandi risorse culturali sia umiliato dal debito pubblico. Secondo me sono gesti di amore, di presenza». Pensi che i giovani siano già abbastanza sensibilizzati sul tema? «Io penso che ci sono persone di cui sono veramente orgoglioso. Altri non hanno di questi interessi. E non solo per l'Africa. Ma proprio per niente. La cultura è curiosità. Forse il pubblico va educato alla curiosità. È così che va avanti la civiltà». Da dove si comincia per cambiare il mondo? «Dall'amore per il prossimo. O almeno dalla sua accettazione». Tu sei anche un grande pittore. Ti sei mai ispirato all'Africa? «Sì, anche. Ho cominciato dalla guerra del Golfo. Fotografavo lo schermo del televisore. Poi ci disegnavo su con gli Uniposca. E tutto il sud del mondo da sempre mi interessa».

Claudio Ruggiero

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