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Gaeta. Questo folle sogno chiamato cinema. Paolo Virzì: «Già parlare in italiano è una conquista per la nostra cultura così esotica e minoritaria»

Davanti le Telecamere di ParvapoliS Paolo Virzì, il regista che sta per portare sul grande schermo le emozioni di «Vita» di Melania Mazzucco. Realtà e fantasia. Che rapporto c'è? «La realtà supera la fantasia. Potevo mai immaginare di essere intervistato da una realtà multimediale su Internet, con un cameramen con una piccola digitale ed un cronista vestito da brasiliano? Non bisogna preventivare troppo, perché poi quello che troviamo è sempre più divertente, più interessante». Tu insisti molto in genere sulla differenza tra la tua "poetica", quella del cinema europeo in generale ed italiano e quella made in Usa. È un dualismo così irrisolvibile? «L'esercizio dialettico è sempre possibile. Non c'è dubbia che il cinema americano ha una sua preponderanza sul mercato, grazie ai loro investimenti e alla loro produzione. Ma io penso che ci sia spazio anche per altro. È un dualismo che si può "cronicizzare". Si può sperimentare qualcosa di diverso, di distinto. Noi siamo un piccolo Paese, nel pianeta, e la nostra lingua viene parlata solo qui. Già parlare in italiano, questa lingua così esotica e minoritaria è una conquista per il nostro cinema e la nostra cultura». Lei vede nella tivvù il luogo privilegiato per fare satira... «Quando non vengono censurate le trasmissioni, sì. Ho la sensazione che negli ultimi tempi sia difficile. Certo, la tivvù per i suoi temi e i suoi tempi di lavorazione più corti rispetto al cinema è più adatta».

Glauco Di Mambro

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