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Latina. Riforma delle pensioni, rinnovi contrattuali dei "prof" e dei "pubblici", vincoli economici e virtualismi paranoico-demagogici. Riflessioni

Troppa carne su fuoco per un solo editoriale, ma ci tentiamo. Non tanto perché avendo trattato in altre occasioni parte di queste materie, e quindi perché non confidiamo in una forse eccessiva attenzione e memoria dei lettori, quanto perché cercheremo di essere necessariamente stringati sui diversi aspetti.
Innanzitutto sulla riforma pensionistica. Questo governo, non memore di essere caduto nel 1994 solo per i tiri mancini della Lega quanto anche per la vasta opposizione manifestatasi nella pubblica opinione, che pure da pochi mesi lo aveva votato, in merito alla riforma pensionistica, cadeva. Oggi, quasi a conti fatti, ha deciso di dimostrare di essere nuovamente il primo della classe e di essere in grado di soddisfare le richieste della Commissione europea e degli altri fori internazionali. Berlusconi e i suoi, incoscienti che in politica bisogna non per mera furbizia talora dimostrare di sapere saggiare e valutare le opportunità delle modalità che consentono di operare, e gli eventuali margini di queste opportunità, non fanno altro che portare acqua al mulino dei loro avversari. I quali in demagogia sono insuperabili, perfino di fronte a Berlusconi, il così detto "grande comunicatore", il quale ogni volta che parla scivola almeno due volte. Né si può dire che, così facendo, il governo operi nell'interesse della Nazione.
Infatti, come ho avuto modo di scrivere, le pensioni non sono il primo problema di ordine finanziario, per quanto esse andranno necessariamente ritoccate nel tempo - ma a partire quantomeno dal 2012, come già previsto dalle vigenti norme scaturite negli anni precedenti da ampio consenso fra le parti -, problema che è semmai costituito dalle spese del settore medico. Spese immense, quasi quadruple in termini monetari rispetto a quelle francesi (senza considerare che il reddito pro-capite italiano è notevolmente inferiore), che anche questo governo non dimostra di sapere ridurre, nel lasciare però inalterato il quadro delle assistenze e delle gratuità verso i pazienti, anzi, ancora migliorando il livello delle odierne prestazioni. Il perché, quantomeno nelle congetture, consegue da sé: paura, incapacità, complicità con le potentissime industrie del settore. Nulla è cambiato rispetto alla "prima repubblica".
Inoltre, non è vero che le pensioni non sono state con "taciti" accordi e con "tacite attuazione" riformate dai governi della sinistra e dai sindacati confederali all'indomani della caduta del primo governo Berlusconi. Infatti, zitti voi, zitti noi, zitti tutti all'insaputa del popolo bue (altro che dovere di abbondare nell'informazione e nella trasparenza!), le pensioni hanno subito un drastico taglio sia attraverso il ricalcalo al ribasso, sia attraverso deleteri espedienti contrattuali. Quali sono questi espedienti? In parte quello del calcolo degli aumenti non sull'inflazione reale del "paniere" Istat aggiornato ma sempre ben studiato ma sull'inflazione concordata o "depurata" (che in teoria e alla bisogna aveva ed avrebbe una sua giustificazione e una sua necessità). In parte attraverso lo spostamento di una rilevante percentuale degli aumenti (superiore in qualche tornata contrattuale anche al 60% degli stessi, quindi con conseguenze e con sbilanciamenti incredibili in termini monetari e reali) dalla voce stipendiale in quella cosiddetta "indennità di funzione", non pensionabile. Sicché, a partire dal 1995, le sinistre hanno attuato una enorme e reale riforma pensionistica, con contrazioni ben pesanti soprattutto nei confronti dei soliti tartassati, i "ceti medi" pubblici: professori delle secondarie e funzionari ministeriali e degli enti locali.
È per questi motivi, assolutamente oggettivi, che Berlusconi e i suoi avrebbero dovuto non "scaldare" scioccamente e immotivatamente i muscoli per lanciarsi in un probabile suicidio elettorale; e soprattutto i leghisti e quelli di AN, tutta gente che si è rivelata demagoga di bassa qualità, avrebbero dovuto a tutti i costi piantare i piedi, ponendo la condizione della vita stessa della coalizione.
Pare che non vi siano perciò margini per un ripensamento del governo dall'istinto suicida, salvo la caduta anticipata del governo o una sua strumentale uscita a pochi giorni prima del voto. E di fronte a tanto, ad una velocissima riduzione delle pensioni, con decurtazioni che viaggiano attorno al 40%, non si può rispondere solo che le donne andranno in pensione sempre a 58 anni. Anche per gli uomini, va garantita fino al 2012 l'uscita dal lavoro con 35 anni di servizio e il raggiungimento della "quota 90".
Una nota su questi sconcertanti aspetti che accompagnano le riforme pensionistiche dai primi anni novanta, è quella della triste constatazione che i diritti per i "bay pensionati" sono stati sempre e comunque garantiti. Giustizia retributiva minima vorrebbe invece che quanti ne godono ed esercitano altra proficua attività o godono di altra pensione, dovrebbero pagare un ben alto contributo, visto che tutti i "fessi" dei lavoratori che hanno continuato a lavorare hanno pagato anche per loro e questo e quello e quell'altro, grazie alle sciagurate demagogie elettoralistiche degli Andreotti di allora e di oggi. E continuano a pagarle. Pertanto, solo dopo le armonizzazioni delle spese sanitarie e dei godimenti dei baby pensionati e della drastica decurtazione delle pensioni d'argento e d'oro, si dovrebbe parlare di riforma delle pensioni, riforma però che dovrebbe riportare a un rispetto dei canoni contrattuali inerenti le voci tabellari entro cui va ufficialmente riportata la grossa frazione oggi camuffata come "indennità di funzione", cosa in cui la Gilda non ha avuto poca colpa, a suo tempo, con la testardaggine mostrata nel volere a tutti i costi una "indennità di funzione docente" che fu realizzata dalla controparte pubblica con la detrazione e la ridenominazione di una quota dello stipendio gabellare, e che si tramutò così in una accentuata, tragicomica "disfunzione della crescita gabellare".
Circa il rinnovo della prossima tornata contrattuale dei pubblici dipendenti, come non rilevare come anche in questo caso questo governo ha continuato sulle orme dei precedenti governi di sinistra? Non ha saputo denunciare l'accordo del 1993, accordo che sopprimeva le fondamentali funzioni dell'anzianità di servizio,non ha saputo soprattutto denunciare l'ormai storico e fatale accordo dei 1973, accordo che fece della società italiana e del suo mondo del lavoro una società economicamente strutturata entro i modelli del socialismo reale. Ovvero, con la sistematica decurtazione, con il sistematico appiattimento delle condizioni retributive dei laureati, dei "colletti bianchi" pubblici e in particolare dei professori delle superiori e delle inferiori. Infatti, mentre dopo il 1984 si invertiva in maniera positiva la storia retributiva di agenti e militari, di medici, dirigenti, magistrati e docenti universitari, per non parlare dei dipendenti della grande industria, ciò non accadeva e non è ancora accaduto per i professori delle secondarie e gran parte dei funzionari ministeriali. Sono ancora recenti le disposizioni di legge che hanno decontrattualizzato, come i militari, i magistrati e i dirigenti, anche la Polizia di Stato. È una norma che una parte dei docenti delle superiori, ben lungimirante, chiese sin dalla fine degli anno ottanta, per ripristinare gli agganci normativi e retributivi a quelli dei professori universitari edella dirigenza alla quale de facto e in una storia del "de jure" appartengono. Ma tutto ciò è rimasto stolidamente lettera morta. Giacché in Italia si considera un bene dimezzare le retribuzioni dei professori e degli alti funzionari, ma sbilanciare strutturalmente per decenni le spese correnti della Pubblica Istruzione in favore del ciclo elementare e oggi perfino fare laureare d'ufficio le maestre non desta preoccupazione alcuna. Sapere dunque che ancora negli anni sessanta c'era chi preferiva la carriera del docente delle superiori a quella del magistrato, pare oggi cosa incredibile. Nello scrivere queste cose, sicuramente molto poco piacevoli, vi è una indubbia esigenza di trasparenza per decenni completamente sottaciuta e aggiogata ai lerci interessi di bottega. Tutto ciò ha ingenerato al contempo, come una lenta inarrestabile cancrena, in maniera estremamente diffusa senso di disagio, malessere, insoddisfazione, frustrazione e disaffezione in tanti dipendenti di fatto proletarizzati e costretti ad aggiornarsi, ad esempio, con i libri adottati per gli alunni e non su testi post-universitari sempre più specialistici.
Anche in questo il governo Berlusconi, nulla innovando, sta miseramente fallendo e sta ricalcando le orme dei precedenti governi di sinistra. Eppure, dal mondo dei "prof" e dei "colletti bianchi" non attivisti politici rossi, era arrivata grande attenzione e in essi vi era grande aspettazione. Ciò è espressione dell'ulteriore istinto suicida di questo governo. Laddove, invece, una scuola efficiente e non "aziendalizzata" e non "americanizzata" sarebbe fonte di inesauribile ricchezza per le future generazioni. Ma i processi qualitativi fanno male, ormai, prima ancora che agli alunni ai dozzinali mercatari e ai riciclati sindacalisti e intellettualoidi che peggiorano di giorno in giorno le di già criticabili scelte "aziendaliste" del ministro in carica. Il caso Adornato e del suo codazzo ex gildino insegna in abbondanza.
Nessuno, peraltro, mi può e mi potrà mai rinfacciare di essere stato, con i miei amici "prof" di fine anni ottanta - inizio anni novanta, il primo in Italia a ricorrere a certe terminologie e a certe alleanza. Infatti, i "liberi professori" parlavano di aziende e di "quadri" e di "dirigenti" del settore privato e produttivo in termini di necessaria e obbligata analogia e non di mera, pedissequa e contraffattrice identità. Ed è in questo contesto che essi furono accolti dalla Confederquadri. E i documenti allora prodotti, per quanto parzialmente datati, sono ancora validi e spesso diventarono fonti a cui attinsero un po' tutti, talora contraffacendo i contenuti e le finalità, ad instrumentum regni. Ma al solito, la classe politica, nella sua generale belluinità nulla capiva o capiva fin troppo bene, e preferì massacrare letteralmente le scelte forti e paganti che le si prospettavano per innovare radicalmente il Paese e per farlo uscire definitivamente dalla sempiterna moria a cui era stato destinato dagli accordi terribili del 1973, ponendo di fatto da allora l'Italia al di fuori dei raffronti e delle comparazioni euro-occidentali di fondato valore.
Né tantomeno questo governo ha dimostrato e sta dimostrando volontà di intenti e di azione nel rivedere ab imis la nefasta legge Bassanini sulla dirigenza pubblica, con il péndant di quella dei presidi e dei direttori didattici (in una promiscua assurda e irricevibile "unicità" di ruolo e di utilizzazione). La legge dei "dirigenti DS", come fu non maliziosamente battezzata. Legge che rispondeva al vero animo comunista, di governare sempre oligarchicamente, legando ristrette cerchie burocratiche con nuovi appannaggi al fine di escludere i più dai loro diritti, diritti ai ventagli retributivi e all'applicazione di graduali differenze: è la in-variabile, la costante storica del dirigismo democratico d'oriente e d'occidente. Una chicca per tutte: ai dirigenti scolastici veniva concesso, pur nella presunta enorme mole di lavoro difficilmente gestibile…perfino il diritto all'esercizio di libere professioni. La sclerosi berlusconiana risulta ancor più evidente nell'esaltare la già accentuata disgregazione burocratico-regionalistica posta in essere da Bassanini, per accontentare la miopia leghista. Sicché, con il moltiplicarsi dei centri burocratici regionali e con la nascista di figure di direzioni generali regionali ancora scarsamente disciplinate e che risultano essere veri centri di potere monocratico, aumentano le dispersioni finanziarie, le improduttività e le loro moltiplicazioni, le prospettive di crescita dei contenziosi all'interno della P.A. e tra di essa e i soggetti esterni.
Ma torniamo alla tornata contrattuale. È assurdo ascoltare la voce del ministro dell'economia Tremonti. È assurdo pensare che l'Italia si salva dai suoi debiti impoverendo definitivamente i dipendenti statali e depauperando le energie della macchina pubblica. Le dispersioni finanziarie enormi, come tutti sappiamo, stanno altrove. Inoltre, è assurdo parlare di virtuosismi quando per i magistrati e per la classe politica i conteggi dell'inflazione vengono fatti in termini reali, mentre per la stragrande maggioranza dei lavoratori in base all'inflazione programmata. È assurdo ancora che gli emolumenti dei dipendenti regionali e dei ristretti beneficiari degli enti locali e delle mille e mille aziende pubbliche abbiano avuto e abbiano ancora abnormi crescite stipendiali, attraverso le molteplici indennità, i "premi di produzione" e gli "obiettivi" raggiunti e le "posizioni" di responsabilità, che di fatto raddoppiano, triplicano, quadruplicano i loro redditi. Spesso a fronte di lavori e di responsabilità inesistenti.
È bene che questo governo, con un improvviso e ritrovato scatto d'amor proprio, abbia il coraggio di porre definitivamente fra le più pericolose anticagli gli arnesi del dissesto socio-economico. È tempo che questo governo eviti il suicidio, premiando le categorie che ormai da più di 35 anni subiscono oneri e vessazioni inaudite. È bene anche che il governo abbia il coraggio di ripristinare le differenze sostanziali fra i livelli di inquadramento, e di ripristinare gli scatti di anzianità in via immediata per docenti e funzionari. E che infine abbia l'onestà di applicare gli aumenti retributivi al tasso reale dell'inflazione.

Domenico Cambareri


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