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Torino. Fiera del Libro. Beppe Severgnini: «La comicità in tivvù spesso è fine a se stessa. Ma ciò non vuol dire che è del tutto inutile»
Davanti le Telecamere di ParvapoliS Beppe Severgnini.
Ospite della Fiera del Libro di Torino, è editorialista e articolista del "Corriere della Sera",
dove dal 1998 tiene la rubrica "Italians" (www.corriere.it/severgnini); scrive per la
"Gazzetta dello Sport" ed è stato corrispondente in Italia per "The Economist" dal 1996 al
2003.
I suoi libri, pubblicati da Rizzoli, sono bestseller: "Inglesi" (1990),
"L’inglese. Lezioni semiserie" (1992), "Italiani con valigia" (1993),
"Un italiano in America" (1995), "Italiani si diventa" (1998).
Beppe ha raccolto il suo lavoro giornalistico nel "Manuale dell’imperfetto viaggiatore"
(2000), nel "Manuale dell’uomo domestico" (2002), e nel "Manuale dell'imperfetto sportivo"
(2003). Ha anche scritto "Interismi" (2002) e "Altri interismi" (2003), insolite
dichiarazioni d'amore alla squadra del cuore.
Le traduzioni di "Inglesi" e "Un italiano in America" sono arrivate ai primi posti
delle classifiche in Gran Bretagna (Hodder&Stoughton 1991) e negli Stati Uniti
(Broadway Books/Doubleday 2002, col titolo "Ciao, America!"). Sono disponibili anche in
Italia, nelle edizioni BUR, come "An Italian in Britain" e "An Italian in America".
Quest'anno qui a Torino si parla di comico e di umorismo. Che dire?
«Dico che ho un grosso problema quando mi trovo a rilasciare dichiarazioni così all'improvviso,
al volo, davanti ad una telecamera. Sì, perché voi e i vostri lettori vi aspettate
cose particolarmente intelligenti che a me non sempre vengono. Ma so che di questo
a voi non importa e volete una risposta. Così provo ad improvvisare.
E vi rispondo che effettivamente la comicità è un fenomeno in crescita, soprattutto
in televisione ma che a volte rischia di essere fine a se stessa. Che non vuol
dire che sia del tutto inutile.
Io mi diverto e rido. Ma non è il mio genere. Io preferisco usare l'ironia per
mandare dei messaggi. Ed ho bisogno di altri tempi, di altri stili, di altri
palcoscenici. Per esempio la uso per dire a voi che questo genere di interviste,
è sì molto americano, molto duro, molto tosto ma non so quanto illuminanti possano
essere, alla fine».
Glauco Di Mambro
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