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Latina. La Lazio e gli anni di piombo. Guy Chiappaventi: «Una stagione ricca di umanità». Antonio Pennacchi: «Con qualche pistola»

«È un libro nato casualmente, che lega due mie grandi passioni: la Lazio e gli anni 70, un periodo che ho vissuto con grande intensità, connesso al ricordo di mio padre. Un periodo, per chi lo ha vissuto, ricco di emozioni forti, a volte positive come lo scudetto della Lazio, e a volte, purtroppo, negative: le ristrettezze legate all'austerity, i rapimenti, il terrorismo delle Brigate Rosse».
Così Guy Chiappaventi, giornalista del TG di La7, racconta la sua ultima fatica letteraria - "Pistole e palloni. Gli anni 70 nel racconto della Lazio Campione d'Italia" (edizioni Limina) - presentata a Latina alla libreria "Candido" con la presenza dei due grandi campioni di quella squadra, Felice Pulici e Sergio Petrelli. Tanti i ricordi e le emozioni scaturite nel corso della presentazione, moderata da Luca Celata ed a cui ha partecipato anche Antonio Pennacchi, soprattutto legate ad un calcio che ormai, a trent'anni di distanza, non esiste più. A proposito di Chinaglia, ad esempio, Pulici rammenta che "aveva una simbiosi totale con la squadra: quando giocava dava tutto. Se si perdeva, lui se la prendeva anche con i compagni, si inventava dei complotti contro di lui, orditi dai compagni per non farlo andare in gol, per non passargli la palla". Certo, c'erano anche le pistole nel racconto di Petrelli: «Avevo la pistola, forse non perché ne avessi veramente bisogno, ma perché volevo - e forse avevo - la necessità di sentirmi più forte. Poi, visto che io l'avevo, la vollero anche altri compagni, ma non era una squadra 'armata'". Secondo Pennacchi però, "il fenomeno non era politico, ma generazionale: si portavano le armi per vanteria, per un'aria di western, in definitiva questi calciatori erano dei ragazzoni".
Non manca comunque l'analisi calcistica, e Pulici ricorda il calcio totale della Lazio campione: «Solo che abbiamo dovuto aspettare i mondiali di calcio, e l'Olanda, per parlare di calcio totale, quando in realtà la Lazio lo praticava già». «Era una squadra clamorosamente anni 70 - sottolinea Guy - In quello stesso anno avveniva il sequestro Sossi, che segnò l'inizio delle azioni delle Brigate Rosse per l'attacco allo Stato, ed era un momento di grandi ristrettezze, legate all'austerity. La domenica si andava a piedi, ma realmente, non come le domeniche ecologiche che ci siamo (fortunatamente, ndR) appena lasciate alle spalle. È l'anno del referendum sul divorzio, della crisi dei movimenti e dei gruppi extraparlamentari che si sciolgono e diventano violenti. In mezzo a tutto ciò c'è la Lazio, composta da questi uomini che vanno al poligono di tiro, che una volta arrivano all'allenamento lanciandosi dall'aereo con il paracadute sul campo di Tor di Quinto. Ma sono anche calciatori, che in un campionato, in trenta partite, non hanno neanche un'assenza, giocano anche se stanno male, danno tutti il massimo e - soprattutto - sono tutti italiani». Era un calcio diverso, come spiegano anche Pulici e Petrelli: il primo afferma che "manca oggi il rapporto di attaccamento con la città, con la gente", mentre il secondo ricorda come non gli interessasse avere qualche milione (dell'epoca) in più, ma come fosse più forte il legame con una squadra che poteva farti vincere. Dello stesso avviso Chiappaventi: «Non esisterà mai più una squadra come quella, con un portiere, il migliore dell'epoca, che - se la mattina della partita pioveva - andava da solo a comprarsi i guanti di lana». «È una bella storia, in definitiva - conclude Guy - anche al di là del calcio, perché ricca di umanità, dei sentimenti che accomunavano e connotavano - con i loro picchi e le loro cadute - questi uomini».

Andrea Apruzzese


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